lunedì 4 giugno 2012

Tim Burton e Franz Kafka: l’integrazione utopistica:


In un momento storico dove la parola “diverso” acquista sempre più un’importanza assoluta nella definizione delle realtà sociopolitiche ed economiche mondiali, da un punto di vista più umanistico e introspettivo, il tema dell’emarginazione e della mancata integrazione, nel “sistema” mondo, trova le sue più alte radici in due autori del ‘900: Franz Kafka in letteratura e Tim Burton nel cinema.
La “convenzione” sembra infatti obbligare l’individuo ad una forzata standardizzazione non preoccupandosi di analizzare le conseguenze psicologiche e morali di chi si riconosce in questa precaria condizione esistenziale.

L’ integrazione, nella vasta produzione degli autori è descritta soprattutto in due opere: Edward-Mani di Forbice e La metamorfosi, inserite entrambe nella famosissima corrente “espressionistica” che nasce ad inizio del secolo scorso. Con il termine espressionismo si usa definire la propensione di un artista a privilegiare il lato emotivo della realtà. La percezione oggettiva è sostituita dunque dal soggettivismo dell’autore che interpreta la realtà secondo il suo mondo interiore.
Le due opere confrontate sono una diretta emanazione dell’anima dell’artista direttamente nella realtà, senza mediazioni, dove i due protagonisti percorrono una strada che si compone di tre fasi analoghe: il tentativo di una possibile integrazione nella società convenzionale, il fallimento totale di questo tentativo e il conseguente rigetto sociale che vedrà i due protagonisti affrontare però due destini leggermente diversi.

Se per Kafka, infatti, solo la morte può liberare Gregor Samsa dalla sua condizione di mostro inaccettato, nell’ideologia burtoniana il fato di Edward non sta nella morte ma nell’isolamento, nell’alienazione più totale, che genera però una tranquilla e serena esistenza solitaria. Il senso più profondo che questi due autori incarnano poggia su un lavoro di sensibilizzazione personale riguardo l’esistenza: nel contesto sociale convenzionale il loro sguardo è rivolto ai piccoli Edward, agli individui “insetto” ignorati e soli. La loro condizione morale può esser studiata e magari approfondita non soltanto grazie a freddi calcoli economici o politici, ma anche grazie alla natura umanistica del pensiero espressionista che, da un punto di vista umano e “sensoriale”, è ricco di contenuti sociali e di drammatica testimonianza della realtà.

Tim Burton e Franz Kafka analizzano il secolo nel quale c’ è una indubbia capacità di analisi e mimesi dell’essere umano che, di fronte alla realtà moderna ed industrializzante, ha sviluppato parallelamente una forma di alienazione interiore (esplicito in tal senso il personaggio di Willy Wonka de La Fabbrica di Cioccolato).
In ultima analisi è indubbio un collegamento tra due arti apparentemente diverse: cinema e letteratura possono “lavorare” insieme per una causa comune e attuale. In queste due attività umane si possono ricercare motivazioni e sentimenti “puri”che non facciano vedere “l’altro” come minaccia.
In tempi di migrazione e di globalizzazione, la figura dell’uomo-mostro, di Kafka o di burtoniana maniera, è di un’attualità sconvolgente: il loro pensiero critico può forse aiutare ad aprire nuove frontiere morali, per la costruzione di una società più giusta ed equilibrata.
L’anima dei due autori è dunque intesa come spirito creativo e costruttivo ed è posta al centro della loro esistenza, lasciando al di fuori freddi calcoli politici, adatti solo ad una “tratta umana”, non accettabili ormai nel XXI secolo.

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