Mentre fuori i soccorritori continuavano ad estrarre i cadaveri dalle rovine del Rana Plaza, in Bangladesh, il cui numero aumentava di giorno in giorno diventando una sorta di macabra routine, qualcuno tra loro era riuscito a percepire nel frastuono dei lavori un rumore che non credeva più possibile.
Gli operai hanno intimato allora il silenzio, rimanendo in trepidante attesa finché non è arrivata la conferma che quello che avevano sentito era la voce di una persona ancora in vita.
La sopravvivenza di Reshma Begum deve molto ad una serie fortunata di coincidenze. Oltre a non aver subito danni importanti aveva a disposizione un buon numero di provviste e persino un tubo collegato all'esterno per respirare, venendo individuata dai soccoritori proprio quando stava ormai per esaurire i rifornimenti. Quella bocca spalancata che respirava nuovamente a pieni polmoni, gli occhi quasi sofferenti per una luce alla quale si erano disabituati ha ridato senza dubbio un minimo di sollievo in una vicenda altrimenti catastrofica.
I morti del Rana Plaza hanno superato quota mille e si pensa che ci siano almeno altri duecento dispersi, i quali difficilmente condivideranno lo stesso lieto fine di Reshma. Nella stessa città, a Dacca, si era verificato un altro incidente in una fabbrica tessile, un incendio che aveva ucciso altre otto persone e che ha fatto il paio con quello dell'anno precedente dove a perdere la vita erano stati in più di cento.
Per questo nella capitale bengalese nonostante gli arresti di quelli che sono considerati i responsabili della tragedia, continua a montare la rabbia contro le autorità e le aziende occidentali che favoriscono uno sfruttamento che si basa sugli stipendi da fame e l'assenza di una qualsivoglia forma di tutela che in altri casi avrebbero evitato disastri come quelli sopracitati. Si spera che l'attenzione mediatica suscitata dal Rana Plaza, di cui si sono interessate personalità come papa Francesco o il vice-premier britannico Nick Clegg, inverta un processo che sta trasformando i Paesi del Sud-est asiatico e quelli limitrofi in un'alternativa più economica (leggi più spremuta) della Cina.
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