Il gran prete Don Luigi Veturi non ha dubbi: "Se la cerimonia fosse stata a San Pietro, tutta la basilica non sarebbe bastata a contenere la gente che sarebbe venuta a rendergli omaggio".
"Ne è sicuro padre?" avrei voluto rispondergli pensando alla folla giunta oggi per il funerale di Giulio Andreotti a San Giovanni dei Fiorentini, a Roma. Di gente ce n'era sicuramente parecchia, ma considerando la statura dell'ex sette volte presidente del Consiglio non era sicuramente una presenza degna di un gigante del suo tempo come era successo per dei coevi come Berlinguer.
Muovendomi tra la folla che si riuniva in attesa del feretro (giunto intorno alle 16.45 e accolto da un minuto di applausi), l'impressione è stata che a dare l'estremo saluto al decano della Repubblica non sia stato il Paese, ma piuttosto il mondo che egli ha rappresentato. Un mondo fatto prima di tutto di persone che hanno iniziato o collegato la loro carriera nella Dc come Casini, Follini, Fioroni o il redivivo Mastella che si sono divisi le navate della Chiesa neanche si trovassero in Parlamento: il Pdl a sinistra, il Pd a destra e il centro naturalmente in mezzo (con la partecipazione straordinaria di Mario Monti). Chissà se gli avrà fatto effetto la predica del parroco iniziata proprio con l'esortazione a pentirsi dei propri peccati...
E la gente comune? Quella c'era, ma si trattava di persone che si riconoscevano convintamente nei valori che Andreotti aveva loro trasmesso senza badare alle numerose ombre che hanno ammantato la sua figura, considerandolo piuttosto come un anziano e rassicurante genitore ("Grazie, grande vecchio" una delle dediche). Della gente insomma devota come lui - che andava a messa tutte le mattine presto e si dice avesse schiere di poveri pronti ad attenderlo - capaci di commuoversi tanto per la perdita che per la sacralità dell'evento. Poi a poco a poco gli ospiti iniziano a scomparire (Fioroni non lo vedo più dopo lo scambio della pace, Maurizio Lupi si defila poco dopo) e verso le 18 iniziamo ad allontanarci tra la calca che fatica ad superare l'uscita, scherzando con una vecchietta minuta che al contrario voleva entrare per accendere un cero.
Di fuori provo a fare qualche domanda alle ultime facce note presenti in giro. Non dice granché l'ex ministro Andrea Riccardi (appena uscito dai microfoni di RaiNews24), parsimonioso Francesco D'Onofrio (che a parte un'informazione didascalica sul suo debutto proprio nell'ultimo governo Andreotti non si sbilancia più di tanto), cordiale invece l'anziano Giuseppe Zamberletti, fondatore della moderna protezione civile, che ricorda come nel terremoto del Friuli del 1976 avesse trovato in Andreotti un collaboratore scrupoloso e affidabile come non mai.
Purtroppo sono state molte di più le facce (specie quelle degli anziani in giacca e cravatta) che hanno reagito ai miei approcci con repulsione o indifferenza, rafforzando la convinzione che l'evento sia stato il lutto di chi non vuole condividere troppo con gli estranei sempre e comunque. Forse perché gli altri sono in buona parte ostili o disinteressati a ciò che ha significato l'epoca del Divo per questi signori. Del resto tra i partecipanti si contavano pochissimi di quei giovani per i quali, sempre secondo Don Luigi Veturi, il buon Giulio "si era tanto penato per non aver concesso loro lo spazio che si meritavano". Almeno lui, seppur tardivamente, lo ha riconosciuto. Ora tocca solo alla classe dirigente che lo ha succeduto in questi ultimi vent'anni.
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