Nel frattempo per le strade di Brasilia, Rio De Janeiro, Belem e molte altre città un'ondata di manifestanti come non si era mai vista sta sfidando apertamente il governo di Dilma Roussef e con lei un'idea di Brasile forse troppo ebbra dei suoi ultimi successi per vedere la bomba sociale pronta ad esplodere da un momento all'altro.
La protesta inizialmente era nata per opporsi all'aumento delle tariffe dei trasporti e nonostante potesse sembrare limitata a sporadici atti vandalici e saccheggi il governo aveva comunque deciso ad accettare le condizioni dei manifestanti. In realtà l'aria era già pesante da un pezzo esplodendo proprio dopo quella che doveva essere in teoria la soluzione per placare gli animi.
In una dinamica molto simile a quella avvenuta in Turchia, lo sdegno per i biglietti dell'autobus si è presto tramutato in una contestazione più ampia che se la prende con la corruzione della classe dirigente e un sottosviluppo che non è certo degno di una potenza energetica in grado di macinare un record economico dietro l'altro.
Gli scontri hanno registrato finora due morti, di cui un giovane ucciso in una dinamica tragicamente simile alla prima vittima di piazza Taksim, Ethem Sarisuluk, vale a dire investito da un auto in corsa contro il corteo. Alcuni ministeri sono stati persino evacuati per dei presunti allarmi bomba. E adesso l'erede dell'onnipotente Lula, il presidente Dilma Rousseff ha annunciato che impiegherà le forze nazionali di sicurezza allo scopo di riprendere il controllo della scena e nella speranza che ciò basti a rassicurare la Fifa. L'ultima cosa che vuole il governo brasiliano è quella di perdere la faccia in vista dell'imperdibile bis Mondiali-Olimpiadi da cui ne uscirebbe definitivamente consacrato come attore internazionale al prezzo di progetti faraonici con relativi sconquassi economico-sociali dei ceti più deboli (poveri e indios). Lo spettacolo del resto deve andare avanti.
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