venerdì 11 ottobre 2013

Libia - Il rapimento del premier e la guerra civile silenziosa

"Fa parte dei giochi politici di ogni giorno" ha tagliato corto il premier libico Ali Zeidan sul suo rapimento di ieri, quando alle prime luci del mattino un commando facente parte degli stessi uomini che dovevano proteggerlo (la Camera Rivoluzionaria di Libia) lo ha prelevato dalla sua camera d'albergo di Tripoli per ritorsione sulla recente cattura a Tripoli di un leader islamista (Al Libi) da parte degli americani. Poi qualche ora dopo il premier è stato rilasciato per tornare nel suo ufficio come se nulla fosse, anche se in realtà la notizia conferma una situazione di gravità inaudita: lo Stato a quasi due anni dalla fine della guerra civile è praticamente inesistente. 

Sono troppi gli episodi che confermano l'impotenza del potere centrale contro le innumerevoli brigate rimaste a piede libero dopo la sconfitta di Gheddaffi. Si ricordi su tutto l'assalto all'aeroporto di Tripoli, gli attacchi ai ministeri degli Esteri e della Giustizia dello scorso maggio per finire con il clamoroso sequestro lampo dello stesso premier che tra i suoi obiettivi annunciati aveva proprio quello di ridimensionare lo strapotere dei miliziani. 
Come si è visto i suoi nemici non hanno tardato a farsi sentire, mentre il mondo politico invece di ricompattarsi nel tentativo di fare fronte comune contro questa minaccia apre dentro di sé nuove fratture. In queste ore infatti la Procura generale, il ministro dell'Interno e il presidente della Camera Abu Sahmain (questi particolarmente vicino agli ambienti islamisti che fanno capo alle milizie) si accusano apertamente della responsabilità tra loro, esacerbando un clima di sospetto che di sicuro non aiuterà a ricomporre un paese sull'orlo di una nuova guerra civile. La primavera araba da queste parti è diventata una vera tempesta. 

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