La morte di al-Droui non è purtroppo l'unico fatto di sangue di questi giorni. Sabato ad esempio uno scontro tra tribù rivali nella città meridionale di Sahba aveva provocato una ventina di morti, il bilancio più grave da quando i vari clan avevano siglato tra loro una tregua poco dopo la fine della guerra civile. In realtà considerando gli equilibri in campo, qualsiasi accordo è destinato comunque a rimanere lettera morta. Primo perché la zona a più alta concentrazione di tribù, ossia il sud desertico, è terra di traffici di ogni tipo (droga, armi e persino esseri umani) che provocano una concorrenza spietata. A questo va aggiunto uno Stato sull'orlo della disintegrazione e completamente incapace di farsi rispettare, figuriamoci mantenere l'ordine. La prova più eclatante in questo senso c'è stata lo scorso ottobre con il sequestro lampo del premier Ali Zeidan, orchestrato da una delle tante milizie che dopo aver sotterrato l'ascia di guerra contro il Colonnello non hanno tardato a riscagliarla per tenere sotto scacco il nuovo governo.
Nel frattempo in questi giorni è arrivato in Italia il primo contingente di soldati libici da addestrare per migliorare le loro capacità di vigilanza per i crescenti flussi migratori. Il programma che coinvolgerà in tutto duemila soldati fa parte di accordo concordato al G8 tenutosi lo scorso giugno a Lough Erne, nell'Irlanda del Nord. Assieme all'Italia sono coinvolti anche il Regno Unito, la Francia e gli Stati Uniti che nei prossimi mesi dovrebbero formare un contingente pari a circa diecimila uomini pronti a fermare gli immigrati. Per l'Occidente la priorità sembra insomma la sorveglianza delle coste, tenendo alla larga un collasso politico che pur essendo il problema cruciale non interessa quasi a nessuno.
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