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giovedì 20 settembre 2012
Una grigia campagna
Devo confessarlo Mitt Romney non mi ha mai suscitato particolari emozioni. Lasciamo perdere le distanze ideologiche che vanno bene per discutere nei salotti non per conquistare l'elettorato e invece parliamo proprio della sua capacità di trascinare le folle come seppe fare Obama grazie al suo "Yes, we can!". Se i sondaggi fino a pochi giorni fa davano i due candidati delle presidenziali con percentuali da fotofinish lo si doveva infatti più alla relativa debolezza di Obama che ai meriti del suo sfidante.
Pare di assistere ad un remake delle elezioni del 2004, quando a dispetto dell'insofferenza generalizzata sul suo operato George W. Bush riuscì comunque a spuntarla contro un avversario privo di mordente, regalando all'America altri quattro anni di declino che probabilmente neppure lui (colpevole ad ogni modo di clamorose manchevolezze) poteva riuscire ad invertire del tutto.
Considerando il disastro ereditato dal suo predecessore, Barack Obama ha fatto senz'altro di meglio, ma è innegabile che si è lasciato definitivamente alle spalle le visioni dall'ampio respiro di una volta. Meglio puntare allora su una più sobria continuità e convincere la gente che solo così è possibile consolidare il fragile equilibrio raggiunto, laddove l'elezione di un repubblicano lo metterebbe a serio repentaglio. Noi saremo pure spenti ma almeno siamo tranquilli, loro invece sono divisi e finirebbero col creare soltanto confusione: questo è il messaggio su cui i democratici stanno puntando per vincere delle elezioni che non suscitano grandissime aspettative.
Gli elementi a sostegno della mina repubblicana sono certo tanti: il populismo del Tea Party, la logorante lotta delle primarie che hanno compromesso l'unità del partito e persino degli imperdonabili scivoloni dello stesso Romney che secondo alcuni opinionisti hanno già suonato la campana a morto per la sua corsa alla Casa Bianca. E i democratici, rassicurati, non si sbilanciano più di tanto. Una noia mortale, non c'è che dire...
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