A differenza dei primi due Plenum che hanno scelto rispettivamente la nuova classe dirigente e determinato l'indirizzo del partito, il terzo appuntamento definirà invece il piano di programmazione economica dei prossimi dieci anni, comprese le riforme necessarie a far fronte ai nuovi problemi che essendo tanti danno a quest'appuntamento un'importanza più grande che mai.
C'è chi paragona la posta in gioco nella terza assemblea del XVIII Congresso a quella avutasi nel 1978 con Deng Xiaoping, quando decise di aprire il suo paese distrutto dalle ultime follie maoiste (Balzi in avanti e Rivoluzione Culturale) ai commerci esteri inaugurando l'ascesa cinese di cui parliamo ancora oggi.
Eppure del miracolo cinese non se ne parla più con la stessa intensità di un tempo. E questo perché le incognite sono tante a cominciare da una crisi economica internazionale che ha contratto le esportazioni e spinto le multinazionali ad affidarsi a manodopera ancora più a basso costo (vedi sud-est asiatico). Non stupisce se il PIL cinese si sia arenato in un meno esaltante - ovviamente per i loro standard, non certo per i nostri - 7% di crescita annua.
La colpa di questo declino però non si può addossare tutta sulla cattiva congiuntura internazionale. Esistono infatti numerose storture a livello interno che complicano quel riassestamento inevitabile per le economie emergenti come quella cinese che nella loro fase iniziale hanno dipeso molto dall'export. Per dare nuovo slancio all'economia è necessario incrementare i consumi interni, eliminando per prima cosa tutta una serie di ostacoli che rendono difficile il raggiungimento di quest'obiettivo:
- abolire l'odioso sistema hukou che impone ai contadini che emigrano in città di conservare la residenza in campagna escludendoli automaticamente dai sussidi statali che ne riducono il potere d'acquisto
- liberalizzare il mercato delle terre che rientrano in un sistema ancora collettivista, il quale invece di garantire una ciotola di riso a tutti non fa che favorire la speculazione edilizia e con essa la corruzione degli amministratori locali
- ridurre il monopolio statale nelle industrie e nelle banche, rafforzando su queste in particolare i controlli di trasparenza finanziaria offrendogli in cambio la facoltà di decidere autonomamente il tasso d'interesse senza essere costrette a favoritismi (in primis alle onnipotenti aziende statali) alla lunga controproducenti
- favorire un modello di sviluppo più sostenibile che se da una parte richiede un maggiore investimento iniziale, dall'altra riduce il rischio di gravissime sciagure ambientali che presentano conti salatissimi a livello di costi di risanamento e ricostruzione
A proposito dell'ultimo punto sono suonati tantissimi campanelli d'allarme come la chiusura annunciata della città di Shanghai, dove l'inquinamento atmosferico avrebbe raggiunto livelli così elevati da rendere addirittura pericoloso per la salute andare a scuola o tenere aperte gli uffici. E suscita ancora molta commozione la recente scomparsa di una bimba di otto anni dello Jiangsu (Cina orientale) a causa di un tumore a polmoni dovuto alle polveri sottili che ha respirato per strada.
Dalle belle parole che hanno chiuso i lavori del Terzo Plenum adesso la Cina di Xi Jinping dovrà passare ai fatti. La sfida non sarà semplice anche perché l'entità di certe questioni potrebbe facilmente riaprire le ferite che si sono aperte nel caso Bo Xilai. Questi è stato fino a poco tempo fa il leader di quei neomaoisti che vogliono fare un passo indietro nell'apertura al mercato, opponendosi ai più pragmatici che alle riforme economiche non escludono si possa prima o poi dar seguito anche a qualche riforma di tipo politico. Ma far finta di nulla per il quieto vivere potrebbe far scivolare la Cina in un ristagno gravido di scenari molto meno armoniosi di quanto auspicano i loro mandarini.
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