L'atto di clemenza s'inserisce in realtà nel solco dei negoziati tra israeliani e palestinesi promossi dal segretario di Stato americano John Kerry, di cui è previsto nei prossimi giorni l'arrivo in Medio Oriente per rilanciare un processo di pace rimasto ultimamente nel dimenticatoio. Ma ciò che il premier Netanyahu ha concesso con una mano è molto meno di quanto sta nel frattempo prendendo con l'altra.
Nonostante le immagini di tripudio e gioia che stanno accompagnando il rilascio dei prigionieri 'eroi' palestinesi - che segue altre due tranche di agosto e ottobre e ne precede una quarta per un totale di 104 detenuti da scarcerare - il gesto israeliano pare non aver soddisfatto il presidente dell'Autorità palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen). Abbas, un politico comunque indebolito a causa della concorrenza del movimento Hamas, chiede la liberazione di tutti i prigionieri come precondizione per qualsiasi discussione futura.
Se sul fronte prigionieri la situazione non è ancora del tutto risolta, quella degli insediamenti ebraici in Cisgiordania sta vedendo addirittura un peggioramento. In corrispondenza di queste scarcerazioni le autorità israeliane hanno legalizzato centinaia di abitazioni e villaggi tra Gerusalemme Est e la valle del Giordano, consolidando così la presenza di coloni che a lungo andare userebbe la forza dei numeri per svuotare di significato ogni rivendicazione territoriale palestinese.
Può quest'ambiguità di fondo promuovere il raggiungimento di un accordo? Difficile pensare che i palestinesi si accontentino del contentino di riabbracciare qualche vecchio amico per seppellire gli antichi rancori. E forse lo sa bene anche il premier Netanyahu, a cui non importa molto se con questi contentini gli attirano la rabbia della destra nazionalista. Quel che conta per lui in fondo è guadagnare tempo per costringere la comunità internazionale ad accettare il fatto compiuto.
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