Quello che rimane del Sudan è in preda alla lotta che contrappone il governo di Al-Bashir ai rivoltosi nelle terre del Nilo Azzurro e un tempo vicini a coloro che oggi governano il Sud appena libero. Lo stesso confine con quest'ultimo è ancora oggetto di accese discussioni, poiché la posta in gioco vede la spartizione di aree strategicamente rilevanti e ricche di petrolio. Ed è proprio per la questione petrolifera se, nonostante il recente patto di non aggressione firmato in Etiopia dai due governi, continuano a bollire spiriti esacerbati fino all'estremo.
Dopo l'indipendenza il Sud Sudan ha strappato a Khartoum la maggior parte delle riserve di idrocarburi, ma resta ancora molto dipendente dagli impianti di raffinazione e di distribuzione in possesso della controparte settentrionale. Il governo sudanese di Al-Bashir ha provato allora a sfruttare il vantaggio imponendo un prezzo di transito dieci volte superiore a quello chiesto dai produttori, i quali dopo essersi rifiutati si sono visti sottrarre ingenti quantità di greggio a titolo di rimborso. La reazione del governo sud sudanese non si è fatta attendere e si è concretizzata con l'espulsione del presidente della compagnia petrolifera cinese Petrodar, rea di aver appoggiato le ragioni sudanesi, e l'avvio di una causa legale che vede soffiare davanti a sé la minaccia di guerra.
La campagna contro i ribelli del Nilo Azzurro minaccia di estendersi oltreconfine e i bombardamenti nei giorni scorsi delle forze aeree sudanesi nella regione Unity del Sud. Che sia una semplice intimidazione o il preludio di una riconquista? La neonata Juba si prepara ad un'infanzia già difficile.
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