domenica 5 agosto 2012

Tim Burton, uno sguardo d'insieme

Quante volte parlando di chi è diverso ci riferiamo ad emarginati e stranieri e quante volte non sappiamo osservare con occhi critici la nostra realtà che, spesso, ci esclude e ci allontana da noi stessi? E se si ama l’inconscio anche un po’ macabro, nero e austero di ogni essere umano non si può non amare il suo più grande rappresentante nel campo cinematografico: Tim Burton.
Leggendo molti testi tratti dalla bibliografia a lui associata sia di critica che di descrizione stilistica non si può non notare come egli in tutte le sue geniali ispirazioni Burton metta se stesso, le sue paure, le sua anzie, il suo intero essere. Johnny Depp (il suo attore più rappresentativo e amato) descrive così il suo primo incontro con l’acutissimo regista: “All’appuntamento ad attendermi c’ era un uomo pallido, dagli occhi tristi e dall’ aria fragile, con una capigliatura che non era solo il risultato di una lotta con cuscino, la notte prima…Durante questo incontro avevamo provato reciproco rispetto che si prova per una persona che senti non essere estranea. Ero sicuro che avremmo potuto lavorare insieme e che sarei riuscito a incarnare la sua idea artistica di Edward, se me ne avesse dato la possibilità. E così fu..ero stato insomma salvato da morte certa, dal mondo televisivo della produzione di massa, grazie a un giovane brillante ed eccentrico che aveva passato l’ adolescenza a fare strani disegni, a sbattere la testa contro il muro a Burbank, a sentirsi pure lui strano ed emarginato (ma questo l’avrei scoperto più tardi). E’ riduttivo definirlo un regista. Il nome più impegnativo di “genio” gli si adatta meglio.”
Da ciò che afferma si può cogliere tutta la bizzarria di Tim e il suo rapporto con la vita. L’idea che Depp ha di lui ci riconduce all’ideologia romantica post.moderna che ne fa un soggettivista e un caricaturista. La sua passione per disegni e forme stravaganti (evidenti nei sui film d’animazione) diventano l’espressione di un mal di vivere, di un isolamento interiore, di una innata controtendenza retorica.
Il Tim Burton che giocava da piccolo nei cimiteri è quell’ispiratore dissacrante, è Jack Skeletron di Nightmare Before Christmas (1993), è lo sguardo discriminato del pinguino di Batman o il diabolico barbiere di Fleet Street. In conclusione si segnala tutta la sua filmografia: essa non è affatto commerciale, come sembra, ma rappresenta una nicchia precisa, un isola felice per non tutti i cineasti e per non tutti gli spettatori che molto spesso escono dalle sale interrogandosi sul senso delle sue pellicole. Esse, nonostante siano se non sempre perfette quantomeno geniali, non possono esser viste solo con gli occhi, hanno bisogno di un'amore per l’onirico e un’attenzione non superficiale per la realtà nera e macabra della solitudine e del distacco.

Nessun commento:

Posta un commento