Venerdì andrò a vedere uno spettacolo di e con César Brie. Non ne so
assolutamente nulla, l’ho scovato casualmente con le offerte Groupon, ma è bastato leggere il nome di
questo grande uomo di teatro per comprare immediatamente i biglietti. Sabato vi
racconterò dello spettacolo, ma intanto colgo al volo l’occasione di parlarvi
di lui.
Fino a pochi mesi fa era un nome che a malapena risuonava lontano
nella mia testa, sentito o magari letto da chissà dove per caso, ma nulla di
più. Ad un certo punto, poi, ho avuto modo di avvicinarmi al suo lavoro
studiando la sua versione dell’Iliade,
vedendolo a teatro in Karamazov e,
soprattutto, avendo la fortuna di partecipare ad un incontro con gli studenti tenutosi
nella mia università.
I suoi occhi e le sue mani difficilmente non ti si imprimono dentro. A
prima vista è una sorta di hippy curatissimo,
dall’età non definita, con una lunga coda di cavallo di capelli bianchi che
parla un eccellente italiano con un interessante accento, forse di qualche
paese di lingua spagnola. Le cose che dice, con una voce profonda, che si
esprime al di là delle parole catturano e rimangono, diventano tue, come se
fossero ataviche.
Brie è argentino, profondamente legato alla sua terra, ma ha vissuto
per moltissimi anni in esilio a Milano. La sua cultura è spaventosa, racchiude
il mondo europeo e quello sudamericano, spazia dall’Iliade alla cultura
popolare boliviana (“Finchè qualcuno ci
ricorda non si è morti”, detto boliviano).
In occasione dell’incontro con gli studenti ha raccontato la sua
visione del Teatro o, per meglio dire, ci ha fatto vivere cos è il Teatro, la
sua essenza, semplicemente grazie alla sua presenza e alle sue parole d’amore
per la forma d’arte.
Arte, che deve inquietare, deve essere una terapia che porta alla
conoscenza attraverso la bellezza. Il teatro è la forma d’arte più intima e,
infatti, raramente ho provato delle emozioni così forti, come se le stessi
vivendo io in prima persona, come vedendo Karamazov.
La violenza, semplicemente evocata in scena, perché il teatro è il luogo della
metafora, non per forza naturalista, era come se la stessi subendo io e non un
attore pagato per compiere dei gesti studiati e recitare delle battute scritte
da altri anni e anni prima. Brie definisce il teatro come poesia di scena, perché il testo da un lato spiega, dall’altro è
poesia. L’azione, invece, non deve per forza coincidere pedissequamente col
testo. Testo e azione, insieme, formano un concetto unitario, che poi diventa poesia di scena, appunto. Per questo è
inutile leggere e studiarsi il testo mentre si assiste ad uno spettacolo come
fanno in molti, che spesso vorrebbero spacciarsi forse per più intellettuali
degli altri…
Le cose da raccontare sarebbero mille, ogni frase aprirebbe una
parentesi di un pezzo a sé stante, ma purtroppo per ora mi fermo qui.
Vi consiglio vivamente di andare a vedere uno spettacolo di Brie, anzi
ve lo impongo! Vi resterà impresso e vi catturerà a prescindere dal testo e da
ciò che dice. Non ve ne pentirete!
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