Ci troviamo nel mondo delle aste di oggetti d'arte e d'antiquariato assieme al protagonista Virgil (Rush), la cui fama come banditore è pari solo al suo amore sconfinato per i ritratti femminili, che riesce a procacciarsi nelle vendite grazie alla complicità del vecchio amico Billy (Sutherland). Un'ossessione che tradisce tuttavia un vuoto umano riflesso nella cura quasi maniacale della propria persona (tintura per capelli, guanti per evitare il contatto fisico, ecc.), come se volesse conservare in questo modo una purezza degna dell'ideale verso cui protende, ma che non ha mai avuto il coraggio di affrontare sul piano della realtà.
Finché un giorno la sua vita non viene incrociata da una strana committente (Hoeks) che gli chiede di fare l'inventario della sterminata eredità lasciata dagli scomparsi genitori in vista di una futura asta. Il nuovo lavoro suscita in Virgil una curiosità prima intellettuale con dei pezzi di un misterioso marchingegno disseminati nell'enorme proprietà, diventando poi emotiva a causa di una bellezza resa ancor più malinconica ed irresistibile dall'agorafobia della giovane cliente.
Di fronte a quello che sembra l'incarnazione di un mito inseguito negli anni, Virgil resta segnato in modo sconvolgente come ha modo di vedere lo spettatore nel progressivo disfacimento della sua maschera ben curata che lo rende tuttavia molto più umano di quanto fosse fino a poche scene prima. Una trasformazione tanto profonda quanto pericolosa al momento di trovarsi tra le persone sbagliate che possono approfittare di questa vulnerabilità e scatenare un vero e proprio trauma per chi non ha mai avuto a che fare con simili delusioni.
Il film scorre molto bene grazie al facile coinvolgimento per una storia d'amore all'apparenza molto tradizionale, ma non per questo priva di grandi sorprese. Ottima l'interpretazione di Geoffrey Rush e la scenografia costellata da splendide opere dei più grandi artisti. Consigliato.
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