venerdì 22 marzo 2013

Taxi Driver - La Recensione


Il destino di un uomo passa per le persone che uccide in un Vietnam che non finisce mai. Nell’alienazione, nella solitudine e nell’indifferenza nasce l’antieroe dei nostri tempi. Questo il  paradosso descritto nel film Taxi Driver di Matin Scorsese. La Pellicola girata nel 1976 ed interpretata da un giovane Robert De Niro e da una Jodie Foster ancora tredicenne riflette sul valore specifico dell'esistenza individuale e sul suo carattere precario, ponendosi in opposizione chiara ad ogni forma di idealismo.
Questo carattere esistenzialista e negativo della società moderna è incarnato dal protagonista  Travis Bickle, un ventiseienne alienato, isolato, depresso e sessualmente inibito, ex marine reduce del Vietnam.
Tassista notturno, sofferente di una perenne insonnia, Travis comincerà presto soffrire di problemi psichici soprattutto dopo l’incontro con una prostituta di 13 anni di nome Iris che entra una notte nel suo taxi cercando di fuggire dal suo protettore, Travis cerca in tutti i modi di salvarla dal suo destino; la ragazza però non sembra affatto intenzionata a farsi aiutare risultando quasi insensibile alle sue parole.
Dopo questo tentativo fallito di compiere questa buona azione ecco la nevrosi, l’ossessione, la libera e sfrenata voglia di cambiare un mondo e una società che non ama essendo un ex soldato del Vietnam: decide di comprare delle pistole e con queste di uccidere il senatore Palantine durante un comizio poiché, a suo pensare, egli rappresenta tutta l'ipocrisia della società statunitense…
Questo mal di vivere, questa condizione esistenziale pone nella rappresentazione che Scorsese ne fa delle inevitabili domande allo spettatore: è evidente che la realtà del capitalismo, del consumismo sfrenato nelle grandi aree metropolitane dia vita a mostri senza coscienza.
Questo disagio si avverte nel film, in un crescendo che conduce alla sparatoria finale per liberare Iris, una rappresentazione cruda, il culmine del processo in crescendo dell’interiorità sconvolta di Travis. A Scorsese riesce in modo ineccepibile quello che in letteratura è solito chiamarsi un climax narrativo.
Ma è qui il colpo di scena, Travis sembra quasi aver dimenticato tutto, lasciando aperto un finale da sempre molto discusso dai migliori critici: per il regista il rapido sguardo quasi nevrotico di Travis allo specchietto potrebbe rappresentare la possibilità che possa soffrire di nuovo di depressione e scatti d'ira in futuro.
Nel film nel suo complesso ciò che colpisce è la descrizione di un destino instabile come il protagonista, i cinque minuti finali sottolineano la volubilità di questo fato. I media trasformano Travis in un eroe, mentre se egli fosse riuscito a sparare al senatore Palantine, lo avrebbero descritto come un assassino.
Il misantropo alienato e perverso è divenuto apparentemente cittadino modello, qualcuno che affronta papponi, spacciatori e gangster per salvare una ragazza minorenne.


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