La verità non esiste.
Giulio Andreotti è stato un uomo politico che ha segnato la storia dell'Italia, essenza di una Democrazia Cristiana che ha di fatto avallato una politica "generosa" ma dispendiosa e poco orientata verso il futuro.
Scomparso il 6 maggio scorso il Senatore non ha
voluto funerali di Stato, una scelta in linea con una personalità che
probabilmente dal 1992 in poi non si rispecchiava più completamente in quel
sistema che per anni era stato suo. Le luci e le tante ombre sulla sua condotta
sono testimoniate da un fatto significativo: alle esequie poche centinaia di
persone e non quel bagno di folla che ci si sarebbe aspettato. Si era infatti molto lontani da quel milione
di persone che, nel 1984, fu presente ai funerali di un altro grande
uomo della politica italiana, che rappresentava "l'altra parte", Enrico Berlinguer.
Ma forse, ad oggi, nemmeno la storia è totalmente
obbiettiva sulle vicende di quegli anni: troppo spesso infatti il
clientelarismo frutto di una mentalità politica d'altri tempi condivisa e
radicata finisce per identificarsi solo con Andreotti. La mafia non è solamente una
delineata e confinata realtà fuorilegge, può infatti identificarsi come
mentalità e stile di vita, radicata in un sistema clientelare che genera un
modus vivendi di certo non appartenente solo ad Andreotti ma a buona parte
dell’Italia politica e sociale di quel periodo storico. Per onestà
intellettuale quindi la questione morale,
che deve ancora oggi trovare risposta, non è nei presunti rapporti tra la mafia
e Andreotti ma tra la DC, la politica e le componenti principali della criminalità
organizzata, specchio della società civile spinta, in contesti di assoluta
povertà, dalla ricerca di lavoro, raccomandazioni e sicurezza.
Quei presunti intrecci tra stato e mafia che hanno segnato la storia della prima Repubblica sono ricaduti tutti sulla figura di un uomo
certamente controverso. Un mafioso per alcuni, un uomo di stato per altri. Andreotti indagato, rinviato a giudizio e processato, è giusto sottolinearlo, è sempre però
stato presente, mostrando comunque rispetto e fiducia nelle istituzioni.
Di lui certo la storia racconterà una verità
legata ad una sentenza storica della Cassazione, quella del 2 maggio 2003:
"La partecipazione nel reato
associativo non nei termini riduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli
più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione con la mafia almeno fino al 1980” arrivando
a delineare nell’immaginario un “divo”, un uomo furbo, cinico e pronto ai compromessi, con una grande fede e ben visto non soltanto dalla Chiesa
ma dallo stesso Karol Wojtyla che lo benedisse pubblicamente propriamentre era in corso il processo Pecorelli. Insomma quali di queste presunte verità possono
ritenersi assolute? A noi non è dato sapere, ognuno ricorderà i valori
dell’uomo e del politico o le ombre del condannato. Intanto qualcuno si è
sentito di scrivere su un piccolo foglio la sua verità, come accaduto al
funerale, “Grande senatore Giulio. Questa
è la realtà. Ciao Giulio”, una realtà personale, vissuta e percepita in un
clima surreale che neanche la storia, con i suoi potenti meccanismi, potrà smentire
del tutto.
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