venerdì 12 luglio 2013

Irlanda - Il governo apre all'aborto, ma con tante riserve

Oggi Savita Halappanavar avrebbe forse qualche possibilità in più di sopravvivere, ma talvolta la soluzione arriva quando è ormai troppo tardi.
La morte lo scorso autunno di questa giovane dentista d'origine indiana per un'aborto negato dall'ospedale (Galway) in cui era ricoverata aveva infatti sollevato un mare di polemiche capace di sfondare uno degli ultimi baluardi antiabortisti della vecchia Europa: la cattolicissima Irlanda. Si tratta davvero ad una svolta?





Pensando a questa situazione il primo pensiero che mi viene in mente è quello del film Magdalene (2002) di Peter Mullar, che denunciava gli istituti religiosi in cui proprio in Irlanda venivano 'scaricate' le ragazze che la società o i loro stessi cari consideravano peccaminose ed immorali. Un retaggio da mentalità patriarcale che ha permesso a queste prigioni di sopravvivere fino agli anni Novanta e ad alcuni medici di lasciar morire poco tempo fa una donna per tenere in vita un loro principio.
Del resto la questione dell'aborto è un tema molto delicato nel paese che ha già attirato su di sé le ire delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani a causa del ruolo preponderante della religione cattolica nella società, dove ad esempio quasi tutte le scuole elementari ad esempio sono controllati dalle autorità ecclesiastiche (tra i quali spiccano personalità come il cardinale Keith 'O Brien, i cui scandali sessuali imbarazzarono profondamente papa Benedetto XVI poco prima delle sue dimissioni).
Il fanatismo era giunto a tal punto da vietare l'aborto addirittura per Costituzione con un referendum del 1986 che con il passare del tempo ha aperto degli spiragli fin troppo ristretti per la tutela della salute della madre. Ora con il disco verde alla Camera bassa dominata dal centrista Enda Kenny e la prevedibile approvazione di quella alta della nuova legge sull'aborto le cose potrebbero andare un po' meglio o quasi.
Innanzitutto non sarà ancora possibile abortire a seguito di uno stupro, d'incesto o di gravi malformazioni del feto. L'unico modo per farlo resta dunque se la salute della donna dovesse essere gravemente compromessa oppure se in caso di minaccia di suicidio. E qui emerge un altro punto dolente, ovvero la presenza di una commissione di tre medici (più una seconda dietro ricorso) che al termine di un'attenta valutazione su ogni caso potrà dare il via libera solamente all'unanimità. Una procedura che molte femministe considerano umiliante e paternalistica come il clima che ha accompagnato una riforma senza dubbio importante ma resta per molti altri aspetti modesta.



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