lunedì 10 febbraio 2014

Bosnia - L'esasperazione di un popolo eternamente in sospeso


Alle prime avvisaglie di una nuova protesta, lo staff della Presidenza a Sarajevo non ci ha pensato due volte prima di evacuare gli uffici, mentre il capo della Direzione di coordinamento di polizia ha annunciato le sue dimissioni, perché dice che è "impossibile garantire la sicurezza". Questi due episodi spiegano bene il contesto, ma anche il motivo, della protesta esplosa da qualche giorno in Bosnia-Erzegovina, un paese vicinissimo al cuore dell'Europa eppure ossessionato da fantasmi che sono riusciti a tenerlo fermo un interno ventennio.
La cosa che colpisce della Bosnia è la mancanza di un qualsiasi progresso rispetto a quando divenne indipendente. Già due anni fa mi trovai a parlare di questa drammatica situazione, che sembra essersi protratta fino ad oggi con l'unica differenza che la popolazione locale sta iniziando a prendere maggiore consapevolezza di questo potere corrotto e inefficiente. 
Del resto come si fa ad amministrare un paese che invece di sviluppare una convivenza tra le varie etnie che lo compongono, ne mantiene le differenze nominando tre capi di Stato che si passano la poltrona a rotazione. Per non parlare della sovranità limitata dovuta alla presenza di un Alto Rappresentante straniero che ha una potestà tutta propria.
Tale immobilismo ha portato ad un'economia rimasta sostanzialmente ferma dai tempi della guerra, come dimostra la ricchezza media pari a meno di un decimo di quella europea e una disoccupazione che supera il 40%. Non è un caso che la goccia che ha fatto traboccare il vaso la settimana scorsa sia stato il fallimento nella città settentrionale di Tuzla di quattro industrie (Konjuh, Polihem, Dita e Resod-Gumig), gettando senza tanti complimenti gli operai che vi lavoravano in mezzo ad una strada.
Il destino di queste fabbriche è stato l'ultimo, ennesimo capitolo delle privatizzazioni alla bosniaca, che si concludono nella maggior parte dei casi con un fallimento come quello avvenuto a Tuzla. E proprio da qui è montata una rivolta che per molti ha rievocato immagini molto simili alla guerra degli anni Novanta, tra cui i palazzi governativi in fiamme e violenti scontri tra la polizia e i manifestanti. Per fortuna non ci sono stati morti, sebbene il bilancio di un centinaio di feriti sia abbastanza pesante.
Oltre ai numerosi danni, tra cui un incendio nell'Archivio nazionale della Bosnia Erzegovina a Sarajevo che avrebbe distrutto documenti risalenti anche al XIX secolo, la protesta ha sortito degli effetti politici non indifferenti come le dimissioni di alcuni premier cantonali, compresi quelli di Tuzla e di Sarajevo.
L'agitazione ha messo ovviamente in allarme l'Europa, dove si rincorrono le voci di un possibile aumento del contingente Eufor presente in Bosnia. Nel frattempo dopo la breve calma del weekend, che ha visto gli stessi manifestanti adoperarsi per ripulire le strade dai danni provocati nei disordini, quella che molti si sono affrettati a ribattezzare 'primavera bosniaca' si prepara a ricominciare. Sarebbero già migliaia le persone che si stanno radunando in queste ore nelle piazze di Mostar, Livno o Brcko, città appartenenti alla Federazione di Bosnia Erzegovina che è composta prevalentemente da croati e musulmani. Resta da vedere se la politica, a parte astenersi con le dimissioni o la fuga, sarà in grado di studiare un qualche approccio degno di questo nome.

Foto Reuters

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