lunedì 17 febbraio 2014

Corea del Nord - L'ONU condanna Kim Jong-un


"La sofferenza e le lacrime versate dal popolo nordcoreano chiedono di agire". A dirlo è Michael Kirby, il capo della Commissione d'indagine istituita dal Consiglio per i diritti umani dell'ONU, che dopo un anno di lavoro ha presentato oggi in una conferenza stampa a Ginevra il suo rapporto sulle condizioni di vita della Corea del Nord. 
A sorprendere non è tanto il quadro desolante (in parte già noto) descritto da Kirby, ma il tono insolitamente aggressivo per un Palazzo di Vetro che in tante altre vicende, tra cui la recente ritirata di Ban Ki-moon nel caso marò, si contraddistingue invece per la totale impotenza o inerzia.
La Commissione infatti non si accontenta di chiedere all'ONU un qualche generico intervento, ma si spinge a condannare apertamente la classe dirigente nordcoreana e il suo leader Kim Jong-un.
Le migliaia di pagine della Commissione, frutto di centinaia di interviste e del raffronto d'immagini satellitari, descrivono l'ultimo santuario comunista esistente al mondo come un paese in cui ogni abitante è sottoposto ad un rigido controllo e dove la fedeltà al regime è una discriminante che condiziona non soltanto la carriera, ma la stessa sopravvivenza. 
Ciò riguarda tutti i livelli della società: dagli strati più indigenti che si vedono negare addirittura il cibo a quelli più elevati, come successe qualche mese fa con l'epurazione del generale Jang Song-thaek, zio di Kim Jong-un, che venne prima arrestato e destituito dai suoi incarichi e infine giustiziato.
Ma la repressione politica non è l'unico dei problemi segnalati dalla Commissione, poiché gli abusi andrebbero dalla schiavitù alla tortura, fino alla violenza sessuale. Alcuni degli episodi riportati dal documento rasentano l'incredibile, come la famiglia seviziata soltanto per aver osato guardare una soap opera straniera oppure le madri che vengono costrette ad affogare i propri figli o a farli morire di fame in prigione. Per non parlare dei tantissimi campi di concentramento che non avrebbero nulla da invidiare ai lager nazisti o ai gulag sovietici. 
Il governo di Pyongyang, che stando a quanto riferito da Kirby si sarebbe rifiutato di collaborare ai lavori della Commissione, naturalmente respinge le accuse con un freddo comunicato, dove dice che "le violazioni umane menzionate nel cosiddetto 'rapporto' non esistono". Ma la questione potrebbe diventare veramente serie. Per la Commissione l'entità degli abusi costituisce in molti casi dei veri e propri 'crimini contro l'umanità' e ciò in teoria potrebbe tradurre i responsabili, compreso il presidente nordcoreano, davanti ad un tribunale internazionale come la Corte Penale Internazionale dell'Aja o uno appositamente stabilito dall'ONU.
Qui viene però il punto dolente della questione, ossia se la comunità internazionale nonostante la gravità del rapporto abbia effettivamente i mezzi per perseguire la Corea del Nord. Intanto se il diretto interessato si rifiuta di comparire non ci sarebbe alcun modo di costringerlo, a parte un intervento militare come quello della guerra irachena del 2003. Quest'eventualità sarebbe tuttavia ostacolata dall'alleato principale di Pyongyang, ovvero la Cina che ha diritto di veto essendo un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Ora se è vero Beijing (Pechino) per amor del wuwei - tradizionale precetto taoista del non-agire che ben descrive l'ascesa relativamente pacifica del paese - non faccia salti di gioia per l'attenzione che il suo piccolo amico attira nella regione ogni volta che minaccia la guerra nucleare, non si sognerebbe neppure di permettere un processo che minaccia di delegittimare il governo nordcoreano, aprendo un primo spiraglio verso un cambio di regime. 
Le possibilità che il rapporto di Kirby si riduca a lettera morta purtroppo sono abbastanza buone. Non resta che attendere il mese prossimo, quando il Consiglio dei diritti umani deciderà effettivamente cosa fare al riguardo. 

Foto AP

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