È stato un weekend decisivo per l'Ucraina, con i media che si trovavano nella paradossale situazione di stare appena commentando l'accordo raggiunto tra Viktor Yanukovich e l'opposizione, mentre le agenzie iniziavano a riportare le notizie sull'improvvisa fuga del presidente e la conquista definitiva della capitale da parte dei manifestanti.
In soli due giorni un potere che, nonostante l'imbarazzo dovuto alla piega degli eventi, dava l'impressione di essere ancora in grado di reggere l'urto, si è dissolto con una velocità sorprendente davanti ad una protesta che aveva guadagnato ormai troppo terreno. Nell'Ucraina di oggi uscita dalla rivoluzione è cambiato praticamente tutto, tranne forse alcuni problemi che se non vengono affrontati con la giusta misura metterebbero a repentaglio la sua stessa integrità territoriale.
Il primo grande cambiamento è stato ovviamente la rapida caduta di Yanukovich, abbandonato dal suo partito, costretto a fare da latitante e messo pubblicamente alla berlina per le immagini delle sue faraoniche proprietà (toilette extra lusso, uno zoo privato, una collezione di auto d'epoca, persino un laghetto con tanto di galeone solo per citare i più noti), dove non sono mancati i paragoni con altri tiranni talmente ubriachi di potere e di soldi da aver perso il contatto con la realtà del loro paese.
Nel frattempo a Kiev si salutava la commovente liberazione dell'ex premier Yulia Tymoshenko e l'ascesa del suo braccio destro Oleksandr Turchynov alla carica di presidente e primo ministro provvisorio. Il nuovo governo, che dovrà traghettare il paese verso le elezioni del prossimo maggio, non ha tuttavia ancora assunto il controllo di tutte le province. A mancare all'appello sono prevalentemente quelle zone di area russofona e la Crimea, dove si vocifera che si stanno creando delle milizie pronte a resistere a quello che Yanukovich ha ribattezzato il 'golpe fascista'.
Da un certo punto di vista gli si potrebbe anche dar ragione per via della presenza nelle file dei ribelli dei gruppi di estrema destra come Svoboda, di cui avevamo già parlato la scorsa settimana. E purtroppo il nuovo esecutivo, formato da forze che si richiamano all'area conservatrice - lo stesso Turchynov, per dirne una, non ha un'ottima opinione sulle unioni gay - non ha mancato di assecondare la volontà dei suoi alleati più esasperati.
Tra le prime misure adottate dal governo provvisorio abbiamo ad esempio l'abrogazione di una legge che aveva promosso il russo a lingua ufficiale nelle zone dove lo parlava almeno il 10% della popolazione. Questa iniziativa oltre a suscitare qualche dubbio sulla sua opportunità rispetto ad emergenze ben più importanti, non è proprio l'ideale per rassicurare le regioni orientali che a seguito dell'amato Yanukovich si dicono sempre più tentate da pulsioni secessioniste.
Dalla capacità di ricomposizione del paese dipenderà anche come uscirà uno dei principali attori esterni della contesa, vale a dire la Russia di Vladimir Putin. Se le divisioni porteranno allo smembramento dell'Ucraina, lo zar potrebbe avvantaggiarsi di un vicino orientale ideologicamente molto più allineato e dipendente che gli porterebbe in dote la preziosissima penisola di Crimea. Al contrario se il nuovo governo di Kiev dovesse riuscire a mantenere la propria integrità territoriale, Mosca si troverà a perdere buona parte della sua influenza su una regione per lei storicamente e strategicamente molto importante.
Per quanto riguarda l'altro fronte esterno della disputa, ovvero l'Unione Europea con annessi gli Stati Uniti, dopo la paralisi che li ha caratterizzati durante gli eventi (l'indecisione sembra essere divenuta una costante dell'Occidente davanti a passaggi di questo tipo) si sono affrettati a riconoscere il nuovo governo e a promettere i miliardi di aiuti che gli avevano negato in precedenza. I prossimi giorni ci diranno se l'Europa tanto sospirata da Maidan sarà all'altezza delle sue aspettative.
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