martedì 8 gennaio 2013

Qatar - Il nano che volle farsi gigante


Che differenza c’è tra uno sceicco e un ex-vicepresidente? Nessuna se parliamo di televisione visto che l’emiro Hamad al-Thani e il democratico Al Gore sono entrambi fondatori di un canale d’informazione, rispettivamente Al Jazeera e Current TV. La storia ha voluto che due figure così antitetiche finissero per incontrarsi al volgere del nuovo anno, perché Al Jazeera ha da poco messo in atto l’acquisto di Current TV per sfruttarne le risorse in modo da sbarcare di peso nel mercato americano e sfidare direttamente in casa dei mostri sacri come la Cnn e Fox. Si tratta solo di affari o c’è dell’altro?



Il legame tra Qatar e Stati Uniti in realtà va ben al di là di una semplice transazione commerciale, essendo la penisola sede dell'importante base USA di al-Udeid, il comando per le operazioni militari nella regione dai tempi della seconda guerra del Golfo. Una presenza che al minuscolo emirato del Golfo Persico non dispiace affatto visto che in termini di uomini e mezzi, meno di due milioni di abitanti di fronte a uno dei redditi pro capite comunque più elevati al mondo (sui 98.000 $ contro i 36.000 nostrani), si trova decisamente in svantaggio contro i rivali sauditi e iraniani.
Eppure il suo ruolo nell’area è di tutt’altro livello se paragonato a quello giocato da buona parte degli stati mediorientali. Per prima cosa nonostante si tratti di una monarchia assoluta tale e quale all’Arabia Saudita, il regno di al-Thani si è mostrato più benevolente sullo stile dei sovrani illuminati di metà Settecento come Federico il Grande. Non a caso il paese gode di un’ottima considerazione internazionale tanto da aver ospitato numerosi vertici d’importanza mondiale tra cui l’ultimo summit Onu sul riscaldamento globale. Anche il futuro riserva grandi sorprese in vista della ventiduesima edizione dei Mondiali di Calcio che si terrà in Qatar nel 2022, una prima volta assoluta in questa parte del mondo che forse ci sogneremmo ancora a lungo di vedere in luoghi come la Siria, lo Yemen o l’Egitto.
Doha sembra in effetti un luogo molto più stabile dei suoi vicini che la primavera araba ha reso più tormentati che mai. I venti della rivoluzione sembrano non aver soffiato affatto sulle sabbie del Qatar, che anzi vi ha soffiato sopra con la copertura mediatica che Al Jazeera ha dato alle proteste. Molti analisti concordano che senza le immagini diffuse dal canale qatariano, che non usa altrettanto zelo quando c'è da discutere gli affari di casa propria, i manifestanti del mondo arabo non avrebbero maturato abbastanza consapevolezza da riuscire a travolgere dittature decennali come quella egiziana o libica, il cui esito ha lasciato l’Occidente orfano di uno status quo che ne favoriva gli interessi.
Non è così invece per il Qatar, il quale è stato uno dei pochi attori a beneficiare di un cambiamento che ha indebolito i suoi principali concorrenti, ovvero l'Arabia Saudita e l'Iran. Nel primo caso la fine dei regimi nordafricani e lo sgretolarsi dello Yemen hanno sprofondato il regno wahabita in una fase di profonda incertezza, mentre la sanguinosa repressione siriana dove il Qatar si è schierato in prima linea per la rimozione di Assad potrebbe spaccare in modo decisivo il lungo cordone sciita che parte dal Libano di Hezbollah e Damasco, attraversando l'Iraq di al-Maliki fino a Teheran.
Schiacciato per anni da questi due potenti rivali, il Qatar gode tutt'ora di un margine di manovra quasi inaspettato grazie al fatto che rappresenta praticamente l’unico interlocutore della regione affidabile e privo di elementi destabilizzanti (un soggetto apparentemente solido come la Turchia di Erdogan e Gul ad esempio rischia molto dai mal di pancia curdi). Una lusinga che l’emiro non raccoglie in modo del tutto disinteressato e che spera possa un giorno fargli prendere il posto della traballante dinastia degli al-Saud come alleato regionale degli Stati Uniti.
A questo proposito l'imminente ingresso dello sceicco nelle televisioni americane potrebbe favorire un legame più stretto tra i due paesi, offrendo al pubblico statunitense una chiave di lettura sicuramente alternativa agli affari mediorientali. Se poi questa novità si rivelerà utile al pluralismo dell'informazione o si riduca a servire un ristretto sodalizio resta tutto da vedere. Del resto la ferita avuta dalle dimissioni del direttore Wadah Khanfar, che secondo Wikileaks avrebbe intrattenuto dei contatti con servizi segreti americani al punto da manipolare i servizi della rete è ancora molto recente...


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