mercoledì 13 marzo 2013

Ungheria - Orban e la guerra alla Costituzione

"La gente si preoccupa delle bollette, non della Costituzione" così taglia corto il premier ungherese Viktor Orban sull'ennesima modifica alla Carta costituzionale. Un passaggio che non è stato per nulla difficile visto il parlamento dominato dal partito di Orban, Fidesz, che appare sordo agli appelli di un'Europa consapevole di essere una delle cause, o meglio un pretesto, di questa deriva dal sapore autoritario.

Le ragioni che hanno spinto Orban ad agire in questo modo infatti non vengono soltanto dal largo consenso di cui gode nel paese, dovuto in buona parte alla debolezza di un'opposizione tacciata di essere collusa con la vecchia dittatura socialista, che lo rafforzano come leader al punto da farlo credere investito di una missione di rigenerazione magiara. Un altro motivo di questa eccessiva concentrazione di potere deriva pure dalla paura diffusa che l'economia traballante del Paese lo faccia cadere vittima dei diktat europei com'è successo in altri anelli deboli dell'Unione.
Non è un caso che tra le misure previste dalla riforma costituzionale ci sia un maggior controllo del governo sulla Banca centrale, affidata proprio ad un suo fedelissimo come Gyorgy Matolcsy che darà sicuramente del filo da torcere tanto a Bruxelles che al Fondo Monetario Internazionale. Sarà insomma più difficile che questi organismi, nonostante i generosi fondi di cui Budapest ha avuto e continua ad aver bisogno, possano influenzarne le scelte di politica economica.
Una reazione che nelle nostre fragili economie mediterranee in particolare potrebbe essere anche comprensibile, se non fosse per degli aspetti che non poco o nulla hanno a che fare con l'economia. Per esempio l'indebolimento della Corte Costituzionale che non potrà più pronunciarsi sulle modifiche apportate in parlamento alla Carta, le restrizioni sulla libertà di stampa e di opinione a tutela di una presunta "dignità della nazione" e il rafforzamento dei poteri della polizia. Ancora meno c'entrano con questioni di bilancio l'esclusività accordata alla tradizione cattolica e alle sole coppie sposate con prole, la messa fuorilegge del Partito Comunista oppure l'arresto dei senzatetto colti a dormire per strada.
Sorge il dubbio se lo spettro comunitario, una sorta di rielaborazione di quello comunista, non serva in realtà a consolidare un sistema di potere che rispetto a quello di trent'anni fa avrebbe di diverso soltanto il colore. Ci saranno sicuramente delle ripercussioni a livello economico che Orban spera di reggere almeno fino alle elezioni dell'anno prossimo. Solo allora sapremo se un gli ungheresi, che saranno certo influenzati nel loro giudizio anche dalla nuova organizzazione dei media, se apprezzano o meno la piega che sta prendendo il loro Paese.
Se il primo ministro dovesse uscire nuovamente vincitore questa volta vedrebbe una Corte Costituzionale appena rinnovata dal Parlamento e quindi più allineata alle sue ragioni. Una gabbia di ferro che incoraggerebbe il governo ad inasprire il confronto con Bruxelles, che in caso di vittoria per Orban finirebbe per indebolire ancor di più l'Unione convincendo altri Stati euroscettici ad alzare la posta a livelli che diventerebbero incontrollabili. Se al contrario l'Ungheria dovesse uscire sconfitta si approfondirebbe il suo isolamento e si troverebbe nella difficile scelta tra smentire la politica adottata fino ad allora o uscire per orgoglio dal club europeo. Ma le alternative a quel punto chiederebbero di guardare verso la Russia o la Turchia, il che sarebbe già difficile da spiegare ad un elettorato così intriso di nazionalismo e chiederebbe un investimento di risorse a lungo termine visto il livello d'integrazione con queste due potenze decisamente più basso. A dispetto dell'attuale trionfo, la strada per Orban è tutt'altro che in discesa.

Nessun commento:

Posta un commento