lunedì 15 aprile 2013

Israele - Samer Issawi, una fame lunga sette mesi


C’è un ragazzo che dal mese di agosto ha scelto di non toccare cibo, in disaccordo con la sua prigionia dettata dalla ragion di Stato che ti butta in cella senza tanti convenevoli. 
Il suo nome è Samer Issawi e si batte per il popolo della Palestina, gridando contro il prevaricare di un Golia (Israele) che impaurito dagli spettri intorno al suo cortile troppo spesso commette degli errori e quasi mai ne vuol render conto. Samer adesso è in fin di vita, convinto che la sua agonia fosse l’unica via per gridare fuori dal carcere l’ingiustizia che lui e tanti altri stanno vivendo. Com’è stato possibile arrivare a cotanta sofferenza?

È usanza tristemente comune degli eredi del regno di Davide arrestare chi sospettano possa loro infligger danno senza il lusso di un processo o di una qualsivoglia motivazione. Uno di loro era stato proprio Samer, reo di essersi un tempo unito alla gente che priva di patria si sollevò in rivolta contro gli occupanti lasciando ai libri un inferno che si sarebbe ricordato come Seconda Intifada.
Per questa colpa Samer doveva rimanere in prigione trent’anni, ma la sua libertà e quella di tanti altri venne restituita al prezzo di quella di un giovane soldato israelita (Gilad Shalit) che tanto aveva fatto sospirare i cuori dei seguaci di Yahweh. Erano bastate però un paio di stagioni prima che Samer venisse di nuovo messo ai ferri senza addurne ragione a chicchessia e per quanto tempo neppure è dato saper.
È da allora che questo giovane s'impose lo strazio con cui la morte incombe sempre più alla sua porta. Qualche giorno aveva commosso perfino i sapienti israeliti, a cui si era rivolto con una lettera destinata a tutta la loro gente per esibire il proprio petto di cui non eran rimaste che pelle ed ossa. La risposta fu accorata nel chiedere di cessare l’inutile martirio, ma fiacca verso il governo e quei militari a cui il giovane puntava il suo dito tremante per l’abuso che lo aveva affamato non solo nella carne, ma ancor di più nei suoi diritti. Siamo ancora ad un punto morto dunque. Di chi sarà il trionfo, vi chiedo o pubblico, alla fine di questa storia: della signora di nero vestita o di quella giustizia che vorremmo immaginare adorna di luminoso candore?  

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