Con questo voto il Cile conferma dunque la tradizione progressista che - tranne il mandato di Pinera - dopo la fine della dittatura nel 1990 ha visto sempre presidenti di centrosinistra al potere. Certo il successo viene ridimensionato un po' dall'affluenza non proprio entusiasmante (40%), dovuta anche al fatto che per la prima volta nel paese il voto non è più un'esercizio obbligatorio per legge.
Questo tratto in particolare tocca un tasto abbastanza dolente che la stessa Bachelet non ha mancato di affrontare, ovvero la natura dell'attuale Costituzione cilena che trae le sue origini dall'ultimo periodo della dittatura. Sebbene molti aspetti autoritari (forte presidenzialismo e ruolo pervasivo delle forze armate nella politica) della Carta siano stati con il tempo modificati, rimangono ancora alcuni aspetti che hanno innescato feroci contestazioni.
Una di queste fu la rivolta studentesca del 2011 contro un'istruzione pubblica che con il suo mix di scarsi fondi statali (Santiago investe nell'istruzione il 4% del PIL contro il 7% raccomandato dalle Nazioni Unite) e privatizzazione diffusa creava un sistema che escludeva buona parte delle classi disagiate. Uno squilibrio considerato inaccettabile per un'economia comunque in ottima salute e dalla bassa disoccupazione per cui la Bachelet ha promesso di inaugurare un nuovo 'patto sociale' che passi anche per la riforma Costituzionale.
Che si tratti solo di slogan bisogna ancora vedere. La presenza nella sua Nueva Mayoria dei leader studenteschi di Gioventù Studentesca Camilla Vallejo e Giorgio Jackson da un lato potrebbe rappresentare il giusto incentivo per rispettare le promesse fatte. Oppure la miccia di una nuova, incontrollabile protesta che metterebbe a dura prova la grande coalizione rossa.
Nessun commento:
Posta un commento