Al-Sisi che ha guidato di fatto il paese dopo la caduta a luglio del presidente Mohammed Morsi, appartenente al gruppo islamista dei Fratelli Musulmani diventati ormai fuorilegge, ha buone probabilità di essere eletto vista l'elevata popolarità dei militari tra le fasce più povere della popolazione e il culto particolarmente ossessivo nei confronti della sua persona, tanto da avere persino dei gadget dedicati a lui come dei pigiama.
Tre anni dopo la rivolta che spodestò Mubarak, le idee di piazza Tahrir rischiano così di essere riassorbite da un ciclo che dall'indipendenza dell'Egitto sembra essere destinato a ripetere lo stesso copione. A parte la breve parentesi di Morsi è dai tempi di Nasser che il paese viene guidato da militari, i quali usano spesso la politica come una porta girevole per gli interessi della loro casta e del onnipotente impero economico da essa costruito in decenni di connivenza internazionale (vedi gli accordi di Camp David del 1979). Non resta che attendere il prossimo aprile per capire se l'Egitto confermerà o meno una tendenza che rischia di non farlo uscire mai dal proprio limbo.
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