mercoledì 29 febbraio 2012

Bedrich - III



Un giorno Bedrich tornò al suo campo, ma invece di calare la zappa vi si gettò rapido come una fiera. Pensava solo a strappar via le erbacce, a calpestar il terreno, zampillando d’odio per una terra capace solo d’ingratitudine. E dopo che la rabbia l’ebbe prosciugato del tutto, si lasciò cadere a terra esausto e a lungo rimase così immobile.  

Il suo campo abbondava di un’erbaccia lunga e sottile, a parte qualche piantina gravida di frutti per la maggior parte deformi e scuri da far ribrezzo, ma pur sempre dei frutti. Era cresciuto anche dell’altro, ma se ne accorse solo quando provò a rialzarsi, quando la mano che poggiò a terra si punse con una foglia spinosa che i fratelli più alti gli nascondevano alla vista.
Si mise a cercare il cesto gettato via e si avviò nella penosa raccolta. Aveva da ingoiarne vedendo quanti di questi frutti eran già rigonfi di marciume, e il sangue tornò a bollire in fretta, facendogliene stritolar uno con la mano. Arrabbiarsi così era inutile, concluse, perché doveva aspettarselo. Il lavoro in paese gli aveva fatto trascurare il resto e comunque lo sapeva che lì vi stava crescendo solo erbaccia, ci era passato ma non si era avvicinato per non trovare una conferma che lo spaventava.  
Povero Bedrich, ci aveva davvero sperato. Pensava di vendere i frutti e di comprarsi un pollo da far razzolare nel cortile che era rimasto vuoto, dopo che la moglie era svenuta proprio mentre dava da mangiare alle galline e aveva lasciato la porticina aperta. Sognava di avere di nuovo uova tutti i giorni, frittate e magari pulcini da allevare una volta cresciuti. E quando mai avrebbe venduto i mostri che aveva nel cestino, non sapeva neppure se si potessero mangiare!
Durante il ritorno soffiò la solita aria fredda e per ripararsi si cinse le braccia al petto fino a casa. Una volta dentro poggiò il cesto sul tavolo e andò a sciacquarsi la faccia nella tinozza ch’era rimasta al solito posto. La moglie continuava a dormire, tenendo la pancia sotto e il viso contro la parete. Neanche un saluto questa volta.
Lui la guardò comunque e tornò così a pensare alla storia del campo. Non aveva avuto scelta, si disse, che se non avesse lavorato da Mastro Peter forse non ci sarebbe stato altro modo di sfamarla in modo decente. Non poteva certo aspettare che i semi maturassero, per come erano maturati poi, e nel frattempo sarebbero morti tutti e due da un pezzo d’inedia. Finché aveva il lavoro da falegname in paese, continuò tra sé, potevano tener duro fino alla prossima stagione, provando a seminare in altra maniera e forse così avrebbe dato un buon raccolto. Sei un illuso, gli avrebbe detto forse suo padre, ma senza questo suo animo starebbe ancora a prender frustate dal padrone.
Il suo padrone, che brutto pensiero, gli venne una smorfia solo a ricordarselo! Per distrarsi si mise allora a pulire le sue verdure nella tinozza, prendendone una per tagliarla col coltello e assaggiarne finalmente un pezzettino. Non si aspettava certo che fosse buono, ma fu sorpreso che fosse anche tanto duro da masticare e se la moglie doveva mangiare quella robaccia, conveniva per forza bollirla a lungo nel paiolo.   
Quando infine Bedrich le si avvicinò con la cena in mano dovette sforzarsi parecchio per svegliarla, chiamandola e scotendo più volte la spalla. Negli ultimi giorni se ne stava a riposare molto più tempo, tanto che per ridere un giorno l’aveva canzonata che stava diventando oziosa. Gliene avesse almeno sorriso, macché. 

Per leggere la storia dall'inizio cliccare su C'era una volta Bedrich



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