martedì 6 marzo 2012

Bedrich - IV



Che strazio quel pomeriggio, non aveva mai faticato tanto. Non era la terra ad essere dura e le forze non gli mancavano visto il pranzo che Mastro Peter gli aveva offerto prima che tornasse a casa. Dopo tanto tempo aveva mangiato addirittura un pezzo di carne e lo stomaco ancora gli gorgogliava felice per una simile cuccagna. Era solo quel lavoro ad essere penoso.
Quasi a ogni movimento di vanga l’occhio gli cadeva sul corpo della moglie. La buon’anima era avvolta nella stessa coperta di quando stava in casa, non per particolare sentimento, ma perché era l’unico sudario che aveva per accompagnarla nel sonno eterno. Per tener il cadavere al riparo dalle fiere, il povero Bedrich scavò una buca talmente profonda che quando risalì doveva puntar bene le mani sul bordo e arrampicarsi come a scavalcare un muro.
Prima di gettarla dentro recitò le poche preghiere che si ricordava, il prete purtroppo non si era disturbato di arrivare fin là senza una dovuta elargizione, e sperò con tutto il cuore che la sua invocazione potesse bastare a condurne l’anima in paradiso. Quindi rotolò piano il corpo fino alla fossa e ve lo lasciò scivolare senza osare di guardarlo. Fu sufficiente il tonfo sordo della caduta a fargli prendere la pala e cominciare a coprire i resti dell’infelice sposa.
Da allora per molto tempo Bedrich non tornò più nemmeno alla propria casa. La mattina andava da Mastro Peter lavorando fino alla chiusura, dopodiché si metteva a gironzolare per le strade o entrava in taverna per scambiare qualche chiacchiera con i clienti. Quando poteva scroccava da bere con chi aveva più confidenza e si era presto abituato agli schiamazzi degli ubriaconi da addormentarsi molte volte sui tavoli, dove passava l’intera notte, a meno che l’oste non fosse abbastanza attento da notarlo e lo buttasse fuori a calci. In tal caso l’unico riparo erano le case abbandonate, e avendo sempre di che accendere un fuocherello con i legni rubati dalla bottega non se ne lamentava più di tanto.
Un giorno però non andò al lavoro perché gli venne voglia di tornare alla sua vecchia casa, colpa di un sogno che aveva fatto la notte prima con sua moglie, suo padre e anche quell’odioso padrone. Quando rivide la casa si accontentò di restare ad una trentina di passi dalla soglia e non provò ad avvicinarsi di più, temendo che entro quelle mura vi fosse una specie di maledizione.
Sì, perché era da quando si era ammalata la moglie che aveva il sospetto del maleficio, rammentando le parole del padre sulla sventura che avrebbe attirato a lui e alla moglie con la loro fuga. Doveva accettare le cose come stavano, aveva aggiunto suo padre. Ma lui non poteva farlo, gli rispondeva, non poteva vedere di nuovo il padrone abusare di lei o lo avrebbe sgozzato come un maiale. E se un servo ammazza un padrone non ci mettono nulla a impiccare lui e a tutta la famiglia, ma se fuggivano tutti e due la colpa se la sarebbero presa solo loro e questa non poteva certo inseguirli in eterno. O forse si?
La sua mente ormai aveva partorito le idee più bizzarre, che il padrone aveva conosciuto una strega e gli aveva lanciato un sortilegio per vendicarsi dell’onta subita. E se lo spiegava col fatto che la loro felicità era durata appena il tempo di finire la casa e godersi il primo raccolto, prima dell’arrivo del freddo che aveva reso sterile il campo e fatto ammalare lei fino a farla morire.
Nella solitudine e nell’ozio iniziò anche a temere per sé stesso, al punto che quanto gli successe al lavoro poco tempo dopo gli suonò come una conferma della maledizione che stava per colpirlo. 


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