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mercoledì 21 marzo 2012
Vent'anni di mal bosniaco
Sono passati poco più vent'anni dalla disintegrazione della grande potenza jugoslava, anche se il travaglio non si è accontentato della difficile transizione dei primi anni Novanta, ma ha attraversato il millennio fino al non troppo remoto caso del Kosovo (2008). Oggi parte di quella famiglia è entrata pienamente a far parte dell'Unione Europea (Slovenia e a breve la Croazia) o è a buon punto (Serbia e Montenegro), mentre altri figli minori sono ancora alle prese con il proprio smarrimento.
Niente di più calzante per descrivere la situazione della Bosnia-Erzegovina, un paese che nonostante stia per festeggiare il ventennale della sua indipendenza soffre ancora di una salute a dir poco cagionevole. La guerra sarà pure un lontano ricordo, ma Sarajevo sta ancora ospitando un'Alto rappresentante nominato dall'estero che detiene una forte influenza sulla politica locale e ha persino facoltà di rimuovere funzionari pubblici qualora si comportino in modo illegale o contro gli accordi di Dayton.
Un'anomalia del genere sarebbe stata presto risolta se non esistesse un'ordinamento statale che rende il governo debole e pure difficile da comporre, come dimostra l'attuale esecutivo che ha dovuto attendere più di un anno dalla fine delle elezioni per diventare finalmente operativo a gennaio. A dispetto della pace le tensioni inter-etniche infatti si sono spostate nell'ambito della politica, dove i partiti invece di elaborare un progetto su scala nazionale tendono a restringersi alle singole minoranze. E ciò non ha solo la grave responsabilità di ostacolare una serena convivenza tra bosniaci, serbi e croati, ma complica all'inverosimile una già farraginosa macchina statale che al posto di un solo Presidente a rappresentare la nazione ne ha tre: uno per ciascuna delle minoranze.
Le difficoltà politiche si ripercuotono inevitabilmente sull'economia, con le privatizzazioni che stentano a decollare, una disoccupazione che supera il 40% e un settore bancario fortemente dipendente dai capitali stranieri visto che la ricchezza pro capite non raggiunge i 10.000 dollari all'anno. Non è un caso che l'Europa abbia recentemente sollevato preoccupazioni sulla lentezza del governo bosniaco ad introdurre le riforme necessarie per una sua eventuale candidatura. Ma prima che il piccolo triangolo dei Balcani possa finalmente riunirsi con i suoi ex-fratelli nella più grande casa europea avrà da sciogliere i tanti nodi della sua pesante eredità...
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