Il gruppo dei barbari si avvicinava sollevando
dietro un polverone gonfio come un cielo in tempesta, gli zoccoli scrosciavano
peggio di una scarica di tuoni, facendo tremare la terra sotto i piedi dei
malcapitati che li aspettavano. Quale effetto doveva avere tutto ciò sui loro
deboli cuori, poiché nessuno tra loro era soldato di lunga carriera, e fu
incredibile che fino all’ultimo non si dispersero a gambe levate finendo
trucidati come lepri in una battuta di caccia.
E fu terribile lo stesso quando i primi nemici si
scaraventarono contro l’avanguardia, con le picche che rompendosi scagliavano
schegge da tutte le parti e i cavalli imbizzarriti che si ribaltavano
schiacciando più di una persona. Per un soffio anche il povero Bedrich rischiò
di venir travolto, saltando indietro terrorizzato dalla zampata che gli mancò
di poco la spalla e senza neppure l’attimo per riprender fiato che già
incalzava un secondo cavaliere arrivato ancora in sella dalla sua destra.
Provò a rispondere allungando verso di lui la picca,
ma purtroppo si ruppe e lo fece balzare per terra dove rimase stordito mentre
la confusione intorno pareva soffocarlo. Non sapeva se lo aveva colpito, vide
soltanto che un paio di moscoviti erano impegnati a far fettine dei compagni
che gli stavano proprio davanti e conscio del pericolo che avanzava mosse la
mano verso la spada, scoprendo con suo orrore che gli tremava più di una foglia
sotto vento.
“Vergine santa! Non mi muovo” balbettò trascinandosi
indietro ancora seduto.
Incurante del suo tentennare il cavaliere provò a
lanciar un affondo schivato all’ultimo, quando finalmente l’istinto gli fece
prender la spada per roteargliela davanti nella speranza di tenerlo lontano.
Per un momento l’avversario s’irrigidì e lo fissava aspettando qualche altra
sua mossa, quindi attaccò con maggior impeto finché Bedrich non cadde perdendo
pure la spada.
Per sua fortuna venne qualcuno più leone di lui
pronti che afferrò la gamba del cavaliere e gli ruppe il collo che neanche si
era accorto di venir disarcionato. E il cavallo rimasto libero fu montato da
uno che però non era avvezzo a cavalcature e venne subito gettato chissà dove, visto
che Bedrich si preoccupò più a non finir schiacciato da quella bestia che
sbuffava furibonda. L’agitazione era salita tale che non ci stava capendo più
nulla, faticava a respirare e non aveva più idea di cosa fare.
I cavalieri in mezzo alle file intanto aumentavano
di numero e facevano arretrare molti di chi non voleva rimaner circondato,
preferendo accalcarsi tutti stretti come
a fuggire la marea che si alza. Davanti a loro erano rimasti appena una decina
di coraggiosi che per il soverchiare del nemico caddero come erba tagliata da
un falcetto.
“Che state facendo?! Attaccate!” si sgolavano i
capitani vedendoli immobili sul campo ormai sgombero tra loro e il nemico.
Ma nessuno osò far nulla, anzi Bedrich che si stava
poggiando sui compagni improvvisamente si sentì mancar il sostegno perché
quelli avevano voltato le spalle al nemico per risolversi alla fuga. Egli quindi
si girò un’altra volta dai cavalieri e cacciando un urlo prese a correre anche
lui, sforzandosi di non cedere alla paura che lo poteva far inciampare e dar
gioco facile agli inseguitori. Non osava voltarsi indietro, accertarsi che
fossero a un passo su di lui, ma sentiva ancora le voci dei capitani che
incitavano la truppa, o forse erano urla di terrore perché anche loro se la
davano a gambe levate. Improvvisamente sentì il rumore degli zoccoli ricominciare,
segno che i barbari avevano iniziato la loro caccia vittoriosa. Il cuore gli
batteva forte, temeva davvero per la sua vita.
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