Gli assedi sono faccende assai imprevedibili perché
capita di restar inerti mesi interi, quando giunge d’improvviso il cambiamento
che rovescia la situazione e non se ne intenda la ragione. Tale fu il destino di
Smolensk che in un caldo giorno d’estate iniziò a tuonare come se un temporale
si fosse abbattuto a ciel sereno con tale potenza da far tremare la terra sotto
i piedi. .
Nel mentre Bedrich si era addormentato da un’ora o
poco più, quando il gran rumore non lo rigirò di scatto e riprendendo i sensi
vide una folla che correva agitata verso la fortezza. Sussultò per una nuova esplosione
e riaprendo ancora gli occhi scorse un fumo nero e rigonfio arrampicarsi lento
nel cielo. Raggiunti i compagni osservò una scena che non credeva ai suoi occhi:
quelle mura che aveva paragonato alle montagne si eran sbriciolate in un lato
della città e avevano aperto uno squarcio largo quanto bastava per far passare
un reggimento.
“Hanno aperto una breccia! La città è nostra!”
esultarono in molti vicino a lui, parlando di mine e di scavatori che dovevano
essere arrivati lì sotto assieme a un bel carico di polvere.
Finalmente, pensò ad ogni modo il buon Bedrich,
questa è l’occasione di riscattar il mio valore. In men che non si dica prese
allora le armi e corse dal capitano che aveva già iniziato a formar lo
squadrone e a discutere con gli altri ufficiali su chi sarebbe entrato per
primo. O meglio ci bisticciava essendo difficile trovar soddisfazione sul posto
assegnato: troppo presto si rischia di venir falciati, troppo tardi e non si
trova più nulla.
Quando lo truppe iniziarono a farsi strada tra le
trincee, le macerie erano si stavano liberando dalla cappa di fumo del crollo
che nascondeva chissà quali insidie e pericoli. Una bestia dopotutto pur se
ferita è capace di colpire e i soldati lo sapevano tanto che già puntavano i
loro moschetti ora che si intravedeva meglio. D’un tratto però un cannone amico
provò a colpire in mezzo alla coltre, ma la palla era mal diretta e si schiantò
su di un muro che vomitò dei pezzi con gran fracasso e alzò un nuovo polverone che
non fece vedere più niente. Gli uomini perciò si bloccarono e persino i
generali esitarono a proseguire.
“Ma dove tirano quegl’imbecilli?!” s’indispettì un
capitano dietro alla compagnia dove stava il Bedrich.
Questi guardava in silenzio la polvere appena sollevata
dai detriti, i compagni preoccupati, le mura che si avvicinavano e il fumo
nella breccia attraversato dalla scarica di lampi dei difensori che spararono.
Chi non morì al primo attacco rispose col suo moschetto alla cieca, perché era
davvero impossibile distinguere chi fosse appostato nel passaggio e invece di
farsi bersagliare da un nemico fantasma i soldati preferirono avanzare nel buio
e stanare i tiratori.
Una colonna di fucilieri si arrampicò da destra,
mentre gli altri con lance e spade seguivano a passo più veloce e vennero
inghiottiti nella coltre come un sasso buttato al mare. Quando fu il turno
della sua compagnia l’intrepido Bedrich udiva soltanto le grida e lo
sferragliare delle armi, qualche volta anche gli spari, e purtroppo non
accennava a schiarire neppure salendo sulle prime rocce su cui poggiava con la
sinistra la picca e la destra reggeva la spada in caso di brutte sorprese.
Calpestò senza volerlo i corpi schiacciati
dall’esplosione e di chi era morto poco prima o stava a buon punto se nel
toccarlo continuava a gemere. Per colpa dell’aria pesante si respirava a fatica
e sudava parecchio, anche se grazie al cielo arrivò presto al di là delle
rovine dove la nebbia si aprì con uno squarcio mostrando la città nuda ai loro
occhi.
Per leggere la storia dall'inizio cliccare su C'era una volta Bedrich
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