Scese di corsa fino alle strade con l’arma in pugno
e gridando a pieni polmoni rinfrancato dai compagni che stavano appresso e dai
barbari che vedeva ritirarsi dietro le case come cani bastonati. Ne stava
puntando uno che vedeva lento e impacciato, niente di meglio per cominciare a
lavarsi l’onta della codardia pensò, ma quando il grassone scomparve dietro un
angolo il buon Bedrich trovò ad attenderlo un avversario molto più ostico.
Non era lo stesso che inseguiva, che forse si era
già nascosto in qualche buco lì vicino o aveva chiamato rinforzo, tant’è che si
trovò un’ascia roteargli davanti al collo, mancandolo solo perché la paura lo aveva
arrestato ad un soffio dal filo. Questa volta Bedrich non cadde né abbandonò la
presa della spada, gettando via persino la picca alla maniera di chi si libera
d’impacci per affrontar meglio il nuovo avversario. La scure nel frattempo lo
attaccò ancora e ancora Bedrich schivò il colpo, ma l’ansia era tornata a
piegarlo e non osò contrattaccare. Il barbaro quindi, vedendolo così rigido,
provò a spaccargli la testa in due come una noce, ma la sicurezza gli fece
scagliare un colpo troppo forte che perse l’equilibrio e scivolò in avanti come
il frutto che doveva spaccare.
Bedrich fu consapevole che non poteva sfidare in
eterno la fortuna, quindi fece un salto e finì dietro l’avversario e gli affondò
la spada nel dorso, premendovi bene anche il piede per lasciarlo inchiodato a
terra fino all’ultimo spasmo. Quello furibondo sputava sangue e lo insultava in
parole talora comprensibili, ma non ebbe il tempo di intender meglio che un
altro soldato gli stava venendo incontro con la picca allungata.
“Maledizione!” gridò d’istinto Bedrich deviando la
punta con la spada, mentre l’altro si fermava guardandolo perplesso.
“Ah, sei polacco!” rispose dispiaciuto “Chiedo scusa!”
Voleva prenderlo a schiaffi, ma pensando che pure
lui all’inizio lo aveva creduto ostile non volle dar troppa pena alla cosa. Del
resto, si disse, a parte quando si sta nella compagnia è difficile riconoscere
gli amici dai nemici, figuriamoci in mezzo alla confusione. Per rendersi la
vita più facile si accordarono a proseguire insieme e il compare rubò l’ascia
al morto dicendo che con quella avrebbe spaccato le porte delle case che
avrebbero saccheggiato.
Scovare case ancora intatte si rivelò però più difficile
e più si avvicinavano al centro, più le guardie aumentavano perché chi fuggiva
all’inizio in realtà andava a raggrupparsi per fare muro contro gli assedianti che
la sete di bottino aveva sparpagliato come mosche. Bedrich e il suo nuovo amico
se ne accorsero perché incontrarono un gruppo fermo sulla strada, i quali gli fecero
cenno di non proseguire e gli indicarono una fila di nemici più oltre che
bloccavano la via con scudi e le lance pronte a infilzare chiunque si
avvicinasse.
“Dobbiamo cambiare strada” suggerì uno di questi
compagni “O aspettare rinforzi!”
Stavano discutendo sul da farsi quando un gran botto
fece tremare le case e paralizzò tutti, compresi i barbari che scioccati ruppero
le righe e si misero a fissare il gran fumo nero che stava nascendo da qualche
parte nella città e zampillava ancora scintille. Ma il fumo non interessava altrettanto
Bedrich e i suoi compagni, che anzi approfittarono di quella distrazione per
corrergli addosso e travolgerli fin quando potevano godere del vantaggio. I
primi colti alla sprovvista caddero all’istante e neppure gli altri, più
consapevoli, poterono nulla contro l’impeto di chi si sentiva ormai vincitore.
Con la via sgombra l'agognato saccheggio poteva finalmente iniziare.
Per leggere la storia dall'inizio cliccare su C'era una volta Bedrich
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