Al mercenario con il soldo in mano poco importa dell’impresa
o della missione, che per lui è solo vaga ragione tra l’una e l’altra rapina
che compie. Lo sanno bene i comandanti e un po’ li capiscono perché gli uomini ne
hanno in quel mentre di privazioni da soffrire e lasciano allora che si
sollazzano, che tanto prima o poi la fame e la brama di carne li spingono a
raccoglier di nuovo le armi.
Qualcuno era contrariato già con le tasche piene,
come il buon Bedrich che il guerreggiare da valoroso aveva troppo eccitato e
sentiva adesso tedioso lo stare in città senza far nulla. Di marcire nelle
bettole non se ne parlava, né di girar per strada a maltrattar gli abitanti
come banditi che spesso arrivano a picchiarsi tra loro e la preda nel frattempo
se ne fugge via tranquilla. Erano però abitudini diffuse tra i compagni e l’evitarle
finiva per lasciarlo solo e il pericolo d’impazzire era grande, se non si fosse
imbattuto in un piacevole passatempo.
Passeggiando vicino le mura in rovina ritrovò un
gruppo di cosacchi, di quelli che aveva tanto ammirato prima di venire a Smolensk
e che diversamente dagli altri soldati se ne stavano per conto loro. Non solo,
ma invece di bere o poltrire si esercitavano con i cavalli, dei veri guerrieri,
pensò il buon Bedrich, che ne rimirava la bravura a bocca aperta e tornava giorno
dopo giorno ad assetarsi nello spettacolo della gloria che tardava.
Pur adorandoli il Bedrich se ne stava in disparte,
avendo paura di disturbarli e di venir per questo scacciato, anche se i
cosacchi avendo imparato a riconoscerlo e capito che era innocuo una mattina lo
avvicinarono e cercando, male, di parlar polacco gli chiesero la ragione di cotanto
interesse. Forse neppure Bedrich si fece capire a parole, ma il suo viso pieno d’entusiasmo
disse molto più di ciò che intendeva e quelli sorridendo tra loro se ne
andarono da dove eran venuti.
“Montare?” gli domandarono l’indomani gli stessi
cavalieri con sua meraviglia.
“Non sono capace!” esclamò Bedrich scuotendo la
testa con gli occhi che però tradivano gioia immensa. Un cosacco dagli occhi come
il cielo gli diede allora una pacca sulla spalla, poi salì sopra e gli tese la
mano per invitarlo a mettersi in groppa dietro a lui.
In men che non si dica i due erano già al galoppo
sui campi con il vento che gli sferzava il viso e il corpo era scosso con
violenza dalla corsa. Al principio ebbe paura di cadere e si tenne stretto al
torace di chi guidava, abituandosi solo verso la fine e dispiacendosi di non
aver avuto il tempo di goder appieno della cosa.
“Ancora! Ancora!” ripeté a squarciagola e
aggrappandosi al dorso del cavallo per suggerire di non voler scendere. Il
cosacco lo guardò severo e alzò un braccio che sembrò preparar un colpo per
farlo cadere con la forza, dando però un colpo che li fece ripartire più veloci
di prima. Bedrich prese a gridare, non di terrore come si potrebbe pensare, ma
esultante, fiero e se avesse avuto la lancia in mano non avrebbe sfigurato come
cavaliere alla carica. Pure il cosacco ne fu colpito e dovette strattonarlo non
poco per buttarlo giù quando si era rifiutato di nuovo di smontare.
“Fatemi imparare, vi prego!” li supplicava
rialzandosi “Fatemi imparare a cavalcare!”
“Non capire tu che dire!” rispose il cosacco dagli
occhi chiari portandosi via l’animale e ridendo di gusto assieme ai due
compagni che lo avevano atteso.
Per leggere la storia dall'inizio cliccare su C'era una volta Bedrich
Nessun commento:
Posta un commento