Una mattina di inizio giugno all'aeroporto di Tripoli arriva un gruppo di persone, ma non si tratta delle solite folle di turisti ansiose di visitare meraviglie lontane. Difficile crederlo del resto con la povertà diffusa nel paese e infatti si tratta di uno dei numerosi gruppi di miliziani libici che invece di partire sembrano più intenzionati a rimanere. Non a caso decidono di occupare l'intera struttura, costringendo i passeggeri a scendere dagli aeromobili e a quelli ancora in volo di atterrare altrove. A scatenare tanta agitazione è la protesta contro la scomparsa del leader di questa brigata, al-Hebshi, che secondo i suoi uomini sarebbe stato arrestato durante un viaggio verso la capitale, laddove il governo avanza l'ipotesi di un rapimento.
Quale che sia la verità la crisi è rientrata abbastanza in fretta, tanto che lo sgombero dell'aeroporto sarebbe avvenuto nell'arco del pomeriggio in cambio di un'inchiesta del governo sul destino di al-Hebshi. Intanto l'episodio che precede di pochi giorni (escludendo possibili rinvii) le prime elezioni nella Libia del dopo-Ghedaffi, ha messo subito in allarme le cancellerie internazionali.
A differenza del vicino egiziano, che sta vivendo anche lui una delicata fase elettorale, qui la situazione è ancora più confusa visto che il sistema politico è praticamente tutto da definire e le milizie approfittano del vuoto istituzionale per restare impunite e dettare le loro ragioni. Tuttalpiù se qualcuno non dovesse essere d'accordo si può sempre forzare la mano occupando un aeroporto o assaltando con centinaia di soldati armati gli edifici governativi com'è successo qualche settimana prima. Se la Libia continuasse ad avere quasi duecentomila miliziani a briglie sciolte, potrebbero non bastare cinque, dieci elezioni per realizzare qualcosa di veramente diverso dall'era Gheddafi...
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