venerdì 29 giugno 2012

La leggendaria umanità di un uomo qualunque

“In fondo chi se ne frega se perdo questo incontro, non mi frega niente neanche se mi spacca la testa, perché l’unica cosa che voglio è resistere, nessuno è mai riuscito a resistere con Creed, se io riesco a reggere alla distanza e se quando suona l’ultimo gong io sono ancora in piedi, se sono ancora in piedi io saprò per la prima volta in vita mia che, non sono soltanto un bullo di periferia.” Rocky.

Nel 1975 un attore allora poco conosciuto, Sylvester Stallone interpretò, da un proprio soggetto, il pugile Rocky Balboa. Film a basso costo e senza pretese particolari Rocky, diretto da Jonh G. Advilsen si rivelò invece un grande successo. Vinse ben 3 Oscar come miglior film, miglior regia e miglior montaggio.

E come accade a tutti i film di grande successo commerciale si decise di trasformarlo in una saga che ha visto dare alla luce ben sei film tutti di grande popolarità tanto da far entrare la storia di questo pugile fra i cult assoluti della storia del cinema.
Ma cosa ha permesso a questa storia di appassionare così il pubblico, cosa l’ha resa così popolare?
Per comprenderlo è importante sottolineare la natura tripartita della serie.

Nella prima parte, composta dai primi due film, Rocky cerca di sconfiggere il campione del mondo Apollo Creed. Essa può essere definita la condizione ascensionale del personaggio che supera un’estrema fase di crisi accettando una grandissima opportunità: lottare per il titolo mondiale.

Apollo Creed rappresenta, in questo inizio, non soltanto il pugile più forte ed esperto, ma la povertà sia pratica che tecnica di Rocky che, alla fine del  secondo film, supera il suo avversario battuto non dai pugni ma dall’estrema volontà di vincere per sua moglie Adriana.
La seconda fase comprende invece la terza e quarta pellicola: Rocky, ormai campione, deve compiere un ulteriore passo in avanti e cioè acquisire la piena consapevolezza in se stesso imparando a prendersi cura di se anche senza specifici punti di riferimento: la morte del suo vecchio allenatore Mickey e quella successiva di Apollo (diventano nel frattempo suo amico e suo allenatore) nel quarto film conducono il personaggio ad una inevitabile crescita.
Se nel terzo capitolo Clubber Lang è in realtà la metafora della paura e dell’insicurezza di Rocky, è senz’altro Ivan Drago la nemesi perfetta dell’eroe americano che combatte questa volta per vendetta e per dimostrare la forza di una scelta, quella di essere sempre se stessi, con la consapevolezza che non esistono vie facili da percorrere, vie di fuga da se (da qui la colonna sonora No easy way out, famosissima sequenza di flashback al centro del film).
Questo passaggio nel secondo momento della storia rappresenta dunque la maturità umana e professionale di Rocky che, ora, sa affrontare da solo una montagna di muscoli e steroidi, forte e allo stesso tempo consapevole della difficoltà di una sfida che sarà vinta anche questa volta più dal cuore e dai valori che non dalla forza fisica.

La terza parte riguarda le ultime due pellicole Rocky V e Rocky Balboa (molto lontani temporalmente l’uno dall’ altro: 1990 il primo, 2006 l’ultimo film) e analizza la fase discendente del pugile e l’ulteriore crescita emotiva dell’uomo: dopo la battaglia in Russia, visti i danni neurologici riportati e truffato da un commercialista disonesto, Rocky è costretto a tornare nei sobborghi di Philadelphia perdendo tutto il patrimonio accumulato in molti anni di vittorie.
Se nel quinto film il tema dominante è il rapporto pugilato-famiglia e la sua mancata capacità nel discernere le sue “vittorie”, incarnate dal giovane Tommy Gunn che egli allena e conduce ad un veloce quanto “sbandata” scalata causata da un mondo pugilistico molto diverso e più corrotto, nel sesto film uno Stallone italiano ormai invecchiato e vedovo, per la morte di Adriana, proprietario di un ristorante a lei dedicato si rimette in discussione sfidando un giovanotto campione del mondo, Mason Dixon, riuscendo nonostante la lunga inattività a fronteggiare, con la solita determinazione, un campione ancora acerbo e che può solo imparare dall’incontro con Rocky.
Elemento interessante di quest’ ultima porzione di storia è proprio la diversità degl’avversari: se Gunn rappresentava una gioventù corrotta, ben lontana dai sani principi e poco disposta ad aspettare per emergere e in cerca di facili guadagni, Mason Dixon è il campione che confrontandosi con un uomo imbattuto e dal grande cuore riesce ad imparare cosa significhi fare 15 round contro un avversario che non indietreggia di un passo. C’è quindi una dimensione pedagogica per la gioventù stessa.

Due, in ultima analisi, sono gli elementi portanti che sorreggono umanamente il personaggio: il cuore e l’amore per una moglie desiderata, conquistata e che è posta a fulcro emotivo di tutta la serie. Un amore puro, incontaminato, forse a tratti troppo idealizzato ma senz’altro elemento appassionante e positivo per il pubblico.

Adriana è in questo senso l’anima di Rocky, è la sua coscienza e la sua consapevolezza. La felicità non dipende dai soldi e dal successo ma dai sacrifici, dal cuore e dalla volontà di vincere, non per mettere l’avversario (la vita) knock-out, ma per resistere ai suoi colpi e: “.. fare un altro round..”.






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