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giovedì 14 giugno 2012
Liberi nella tempesta
Dopo più di vent'anni di restrizioni, di cui quindici di arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi è diventata una donna libera, ha ottenuto un seggio alla camera bassa e può viaggiare intorno al mondo. Proprio in questi giorni è infatti iniziato il suo tour in Europa che tra le tappe prevede anche Oslo, dove potrà finalmente ritirare il premio Nobel del quale fu insignita nel lontano 1991. La notizia non può che rallegrare perché osservando le vicissitudini di questa donna minuta viene da pensare che l'ingiustizia non dura per sempre, che gli oppressi un giorno o l'altro trovano il modo di riscattarsi e di alzare nuovamente la testa.
Un quadro perfetto, rovinato solo dai venti preoccupanti che stanno soffiando in patria. Il problema non è qualche rigurgito autoritario della giunta militare, almeno per ora, ma gravi episodi di razzismo tra la maggioranza buddista e i musulmani "reietti" denominati genericamente come Rohingya, concentrati nelle province confinanti con il Bangladesh. Un odio che si manifesta in forme molto pesanti, specie dai buddisti che a seguito della morte di una loro correligionaria hanno scatenato un'ondata di violenza tanto fisica quanto verbale.
Vista l'accoglienza (qualcuno ha parlato di una loro deportazione o addirittura lo sterminio totale) non sono pochi i Rohingya che hanno riparato in Bangladesh, dove però sono considerati altrettanto estranei per via d'insormontabili differenze linguistiche e problemi di sovrappopolamento a cui Dacca deve già far fronte con i suoi abitanti. Col risultato che sballottati da una parte all'altra i musulmani birmani vivono una situazione estremamente disagiata, terreno più che fertile per riempire le fila di terroristi e secessionisti. Facendo il gioco di coloro che con la scusa dell'integrità territoriale o della sicurezza sono ancora tentati di rimettere indietro le lancette dell'orologio, ora che dopo anni di paralisi avevano seppur timidamente iniziato a girare.
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