A Los Angeles, in California,
verso la fine degli anni ‘10 si
riuniscono affaristi desiderosi di investire nel cinema e
registi che alla caotica New
York preferiscono il clima mite della cittadina
californiana per girare pellicole. Nei primi anni ‘20 Los
Angeles continua a svilupparsi nel campo industriale e
agricolo, e in breve tempo nella zona si riuniscono una serie di case di
produzioni cinematografiche,
dalla Universal
alla MGM, e
così nasce Hollywood, e l’aurea mitica
che tutt’oggi la circonda. In breve tempo il cinema
diventa un vero e proprio prodotto commerciale: attori e attrici ricoprono le
immagini delle riviste e vengono visti dal pubblico quasi come fossero delle
divinità (si pensi a Mary
Pickford e Rodolfo
Valentino); registi come David
W. Griffith e Cecil
B. DeMille, alternano prodotti artistici ad altri comandati
dagli Studios. E Charlie
Chaplin, indipendente sia come artista che come produttore,
realizza le sue comiche prendendosi gioco della società;
trasformando però temi importanti e molto sentiti tra la gente di quel tempo in
scenette caratterizzate da una efficacissima comicità espressiva basata su
sguardi e movimenti del volto e del corpo.
Negli anni ‘30
nasce lo studio system:
gli Studios comandano a bacchetta le star, e
pur esaltandone l’immagine (si pensi a Greta
Garbo e Clark Gable), tendono ad
intrappolarli in personaggi stereotipati. Intanto generi come la commedia e
il dramma romantico impazzano, ma in seguito alla Grande Depressione si
faranno strada generi più realistici e socialmente critici, come il “gangster-movie”
e il noir, genere
quest’ultimo sviluppatosi maggiormente durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma in questo decennio è il musical scacciapensieri a
far da padrone, con Fred
Astaire e Ginger Rogers che allietano spettatori
desiderosi di evasione. Negli anni ‘40 lo studio system
finisce a causa delle leggi
federali che privano gli Studios della proprietà delle sale cinematografiche,
ma durante la Seconda Guerra Mondiale
essi non smettono di far faville continuando a produrre star e film di grande
valore. Intanto non si perde mai occasione per esaltare i valori dell’ “american
way of life”: a questo ci pensano registi idealisti come Frank
Capra, e attori sciovinisti come John
Wayne, indimenticabile nei suoi western.
Nel frattempo però nuovi artisti come Orson
Welles stravolgono il normale modo di fare cinema, e negli anni ‘50
anche la concezione del “divismo” cambia, come nel caso dei più sanguigni Marlon
Brando e James Dean, che portano sullo
schermo un modo più reale di rappresentare la realtà.
Negli anni ‘60
ormai la vecchia Hollywood non è che un
ricordo, e il “New Cinema” si fa strada criticando ipocrisie e pudori della
vecchia America,
per opera di registi audaci come Francis Ford Coppola, George
Lucas, Stanley
Kubrick e Martin
Scorsese e di attori come Dustin
Hoffman, Jack Nicholson, Robert
De Niro e Meryl Streep; che aprono un vero
e proprio nuovo ciclo nella storia del cinema americano che, forse solo oggi ,
si avvia verso il suo tramonto per far spazio ad un cinema digitale, al cinema
degli effetti speciali, che con Spielberg, negli anni ’80, trova la sua
consacrazione (non che prima non esistesse) , cinema di puro intrattenimento, fino all’esaltazione ai
giorni nostri dei canoni tradizionali, con la ricerca di una spettacolarità
sempre più marcata e sempre più funzionale ai fini di propaganda pubblicitaria,
in un macrocosmo cinematografico dove sembra valere solo la legge dell’effetto
più riuscito e verosimile, dove si
trascura l’intreccio narrativo e i grandi temi a favore dell’intrattenimento
nel fenomeno culturale che io definisco del “non pensare”, come accadeva durante la
seconda guerra mondiale, (ma capiamo in questo caso il perché) oggi più
che mai il desiderio di evasione è una delle necessità più strumentalizzate da
chi fa cinema….. ci dicono che viviamo in tempo di pace, ma le nostre esigenze
e le nostre insicurezze sono sempre le stesse.
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