Un giorno guardando oltre il vento macchiato dalla
neve comparve un’ombra che i soldati crederono prima una roccia o degli alberi,
finché nel proseguire non la videro allungarsi come un lungo serpente che trascinava
pesante la testa verso di loro. Siccome la vista era assai annebbiata e i sensi
non meno intorpiditi in molti ebbero tema di aver incrociato una mostruosità
pronta a farsene boccone e strinsero le armi preparandosi al peggio.
“Sono persone!” gridò però d’un tratto qualcuno e il
buon Bedrich non perse tempo ad aguzzare gli occhi riconoscendo davvero degli
altri uomini. Ma il sollievo durò poco perché non gli sconosciuti sembravano essere in gran numero e dal passo
troppo pesante non erano certo dei viandanti o pellegrini in un cammino di
penitenza.
D’istinto dunque egli alzò di nuovo la lancia,
fissando quei figuri teso come una corda e trattenendo il respiro quando si
fermarono a pochi passi dalla compagnia e gridarono qualcosa presto soffocato
dal vento. I comandanti allora per meglio intendere vollero avvicinarli facendo
arrestare la truppa, dove ognuno non potendo più scaldarsi camminando non poteva
far altro che battere le braccia sul corpo o strofinare quel che restava delle
pellicce divorate dalle intemperie.
“Ma chi sono quelli là?” era la domanda che saltava
da una parte all’altra tra gli uomini “Devono mettersi a chiacchierare proprio
in mezzo alla bufera?!”
“All’armi!” ordinò di colpo il comandante che fu il
primo a cadere per mano degli sconosciuti. Dalle loro parti si levò quindi un
grido minaccioso e accorsero con le spade già sguainate non lasciando più dubbi
sulle loro intenzioni.
La battaglia fu difficile e straziante, poiché i
compagni del Bedrich e lui stesso erano provati dalle fatiche trascorse e non
riuscivano a maneggiare come si deve le proprie armi, mentre i nemici dimostrarono
di sapersi battere meglio nonostante la durezza della stagione. Furono loro
alla fine a prevalere uccidendo venti o trenta mercenari, ma per qualche strana
ragione piuttosto che passare al filo i vinti preferirono farli prigionieri.
Unica eccezione furono i capitani che vennero accompagnati in disparte e
scomparvero nella nebbia senza far più ritorno.
Il gruppo ripartì poco dopo e per il buon Bedrich ch’era
sfinito dalla battaglia riprendere a camminare fu impresa ben più ardua. Teneva
le braccia penzoloni, il respiro aveva il sapore del fuoco e che triste spettacolo
vedere chi era meno coriaceo lasciarsi cadere per venire in un lampo inghiottito
dalla neve a terra. Questo non a me, implorava a se stesso, sforzandosi di
andare avanti con le ultime energie e per questo vedeva solo i suoi piedi, non distinguendo
più gli amici dai nemici. Attorno a lui c’era solo una fila di corpi chini e tetri
come l’inverno che li avviluppava e seguendoli almeno aveva la consolazione che
la morte se fosse arrivata non l’avrebbe affrontata da solo.
Quando poi verso sera le correnti si calmarono e lo sguardo
si fece più nitido, il buon Bedrich scoprì ciò che non si sarebbe mai
aspettato. Pur nel delirio della stanchezza si era fatto un’idea su chi li aveva
catturati, non potevano che essere dei barbari venuti a tagliargli la strada
per la Moscovia. E allora perché non indossavano i loro elmi a punta e parlavano
la favella del Sigismondo come se fosse la propria? Non solo, ma avevan smesso di
tormentare i suoi compagni e iniziavano a rider di gusto con loro come se non
vi fosse mai stata battaglia. Chi diavolo erano allora questi soldati?
Nessun commento:
Posta un commento