“Non mi resta
che augurarmi attenzione da parte del pubblico, al quale ho voluto sinceramente
raccontare un’emergenza sociale di oggi attraverso una commedia. Un serio
problema che abbiamo voluto rappresentare senza alcuna presunzione, con serietà
ma anche con efficace ironia. E la nostra speranza è quella di esserci
riusciti..” Carlo Verdone.
Il regista che in Italia sa ancora stupire, che sa
rendere verosimile la rappresentazione ironica della nostra squallida realtà è
certamente uno: Verdone. Posti in piedi
in Paradiso, film diretto dal noto attore romano è infatti incentrato sulle
peripezie di tre padri separati alle prese con la crisi sociale ed economica
del nostro tempo.
Sorprendente è senza dubbio l’equilibrio con cui
Verdone realizza questo film, una pellicola corale condivisa per intero con
Pierfrancesco Favino e Marco Giallini nei rispettivi ruoli di Ulisse, un
produttore discografico fallito, Fulvio, un giornalista in crisi professionale e
Domenico, un cialtrone dei nostri tempi.
Non era certo facile costruire una commedia su un
soggetto così serio e drammatico, era una sfida riuscire a tirar fuori il lato
divertente delle disgrazie di questi tre uomini ma che il regista a vinto
grazie alla sinergia sviluppata dai tre attori e alle loro azioni e reazioni
nei vari momenti della storia. Insomma un trio ben affiatato e che ha fornito
una prova di qualità (i complimenti in particolare a Favino per aver dimostrato
di saper recitare ruoli di ogni genere).
Ma i tre non saranno soli in questa avventura:
condivideranno le loro terrificanti peripezie con Micaela Ramazzotti, Gloria,
di professione cardiologa, che instaurerà con Ulisse un rapporto sincero, di
solidarietà e di grande intensità. Una condivisione degli eventi che non si
trasformerà in una relazione sentimentale bensì in un rapporto più simile a
quello di un padre con una figlia. Gloria gli farà riscoprire l’importanza di
vivere il presente riavvicinandolo di fatto alla figlia naturale ormai diciassettenne
e per di più incinta.
Insomma un pellicola intelligente, che parla di
uomini privi di maturità, ma senza mai cadere nel banale maschilismo, il film
mostra i due lati di una stessa medaglia dove cercare il proprio paradiso, in
un contesto difficile per via delle pressioni economiche e sociali, diventa
sempre più difficile. La donna non ne esce sconfitta ma bensì
ricontestualizzata in un più alto livello di sensibilità; il giudizio non
interviene nella descrizione dell’ormai emancipato sesso femminile bensì
vengono descritte luci ed ombre di una crisi più generazionale che di genere.
Il “disastro” sta dunque nella solitudine e nelle
illusioni scaturite da carriera e successo che improvvisamente svaniscono
lasciando nei tre personaggi solo vuoto e sconforto: Carlo Verdone, un uomo di
profonda sensibilità, ha saputo inserire la sua vena creativa ed ironica
costruendo su di esse, come ormai ci ha abituati, delle gag esilaranti di rara
brillantezza che, forse, riusciranno a far riflettere (divertendo) la
generazione dei nostri padri, una generazione secondo lui più immatura di
quanto non si pensi, superata dai giovani di oggi in cui il regista crede
fermamente.
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