lunedì 29 ottobre 2012

Posti in piedi in Paradiso


Non mi resta che augurarmi attenzione da parte del pubblico, al quale ho voluto sinceramente raccontare un’emergenza sociale di oggi attraverso una commedia. Un serio problema che abbiamo voluto rappresentare senza alcuna presunzione, con serietà ma anche con efficace ironia. E la nostra speranza è quella di esserci riusciti..” Carlo Verdone.
Il regista che in Italia sa ancora stupire, che sa rendere verosimile la rappresentazione ironica della nostra squallida realtà è certamente uno: Verdone. Posti in piedi in Paradiso, film diretto dal noto attore romano è infatti incentrato sulle peripezie di tre padri separati alle prese con la crisi sociale ed economica del nostro tempo.
Sorprendente è senza dubbio l’equilibrio con cui Verdone realizza questo film, una pellicola corale condivisa per intero con Pierfrancesco Favino e Marco Giallini nei rispettivi ruoli di Ulisse, un produttore discografico fallito, Fulvio, un giornalista in crisi professionale e Domenico, un cialtrone dei nostri tempi.
Non era certo facile costruire una commedia su un soggetto così serio e drammatico, era una sfida riuscire a tirar fuori il lato divertente delle disgrazie di questi tre uomini ma che il regista a vinto grazie alla sinergia sviluppata dai tre attori e alle loro azioni e reazioni nei vari momenti della storia. Insomma un trio ben affiatato e che ha fornito una prova di qualità (i complimenti in particolare a Favino per aver dimostrato di saper recitare ruoli di ogni genere).
Ma i tre non saranno soli in questa avventura: condivideranno le loro terrificanti peripezie con Micaela Ramazzotti, Gloria, di professione cardiologa, che instaurerà con Ulisse un rapporto sincero, di solidarietà e di grande intensità. Una condivisione degli eventi che non si trasformerà in una relazione sentimentale bensì in un rapporto più simile a quello di un padre con una figlia. Gloria gli farà riscoprire l’importanza di vivere il presente riavvicinandolo di fatto alla figlia naturale ormai diciassettenne e per di più incinta.
Insomma un pellicola intelligente, che parla di uomini privi di maturità, ma senza mai cadere nel banale maschilismo, il film mostra i due lati di una stessa medaglia dove cercare il proprio paradiso, in un contesto difficile per via delle pressioni economiche e sociali, diventa sempre più difficile. La donna non ne esce sconfitta ma bensì ricontestualizzata in un più alto livello di sensibilità; il giudizio non interviene nella descrizione dell’ormai emancipato sesso femminile bensì vengono descritte luci ed ombre di una crisi più generazionale che di genere.
Il “disastro” sta dunque nella solitudine e nelle illusioni scaturite da carriera e successo che improvvisamente svaniscono lasciando nei tre personaggi solo vuoto e sconforto: Carlo Verdone, un uomo di profonda sensibilità, ha saputo inserire la sua vena creativa ed ironica costruendo su di esse, come ormai ci ha abituati, delle gag esilaranti di rara brillantezza che, forse, riusciranno a far riflettere (divertendo) la generazione dei nostri padri, una generazione secondo lui più immatura di quanto non si pensi, superata dai giovani di oggi in cui il regista crede fermamente.

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