Ieri sera di fronte all'assalto dei manifestanti che hanno costretto gli agenti di sicurezza a darsi alla fuga, il presidente egiziano Mohamed Morsi ha dovuto abbandonare il palazzo presidenziale di tutta fretta.
A un anno e mezzo dalla caduta di Hosni Mubarak e una settimana di tensione crescente, l'Egitto torna dunque in grande fermento e vede il futuro del governo dei Fratelli Musulmani diventare più incerto che mai.
Di sicuro il presidente Morsi ha capito una cosa: una parte importante dell'Egitto non è più disposta ad aprire la strada ad un altro faraone.
Il presidente doveva aver sperato che a rassicurare la piazza bastassero i successi internazionali ottenuti nell'ultima crisi di Gaza quando ha fatto da mediatore tra israeliani e palestinesi. Poi ci aveva provato con l'annuncio di un referendum per la nuova Costituzione, che nella sua ispirazione alla sharia tradiva però l'essenza di quella primavera araba che aveva favorito la sua stessa ascesa.
Quest'assalto alle Tuileries sul Nilo dimostrano quanto Morsi abbia sbagliato a sottovalutare i movimenti di piazza Tahrir, affidandosi al classico copione dell'emergenza per legittimare una serie di forzature come l'ultimo decreto che gli attribuiva dei poteri assoluti.
Ma l'avvento di un nuovo dittatore per il momento è stato rimandato, grazie anche al lungo braccio di ferro tra Morsi e la magistratura che ha tenuto le forze laiche in allerta. Contando sul fatto che molti giudici erano stati nominati da Mubarak, il presidente ha probabilmente creduto di avere la giustificazione morale per opporsi a loro con ogni mezzo. La minaccia della Corte Costituzionale di sciogliere entrambe le Camere ad esempio poteva essere raccontata al pubblico come un rigurgito di chi venendo dal vecchio regime cercava di opporsi al cambiamento.
Peccato che col passare del tempo Morsi avesse iniziato a giocare sporco anche lui, come quando ha permesso ai suoi sostenitori di tenere sotto assedio la Corte costituzionale e ha stabilito con leggi straordinari che i due rami del Parlamento, entrambi guidati dal suo partito, divenissero immuni dal potere giudiziario. Finché la piazza stanca di questi evidenti abusi di potere non è ridiscesa in piazza per dargli un freno prima che potesse essere troppo tardi. Prossima tappa il referendum del 15 dicembre che dovrà approvare o respingere la Costituzione redatta da una Costituente quasi a senso unico. Questa è forse la battaglia decisiva di un presidente, rientrato nel frattempo a palazzo dopo la fine delle proteste, contro un popolo a cui vanno i miei complimenti per non aver mai abbassato la guardia.
A un anno e mezzo dalla caduta di Hosni Mubarak e una settimana di tensione crescente, l'Egitto torna dunque in grande fermento e vede il futuro del governo dei Fratelli Musulmani diventare più incerto che mai.
Di sicuro il presidente Morsi ha capito una cosa: una parte importante dell'Egitto non è più disposta ad aprire la strada ad un altro faraone.
Il presidente doveva aver sperato che a rassicurare la piazza bastassero i successi internazionali ottenuti nell'ultima crisi di Gaza quando ha fatto da mediatore tra israeliani e palestinesi. Poi ci aveva provato con l'annuncio di un referendum per la nuova Costituzione, che nella sua ispirazione alla sharia tradiva però l'essenza di quella primavera araba che aveva favorito la sua stessa ascesa.
Quest'assalto alle Tuileries sul Nilo dimostrano quanto Morsi abbia sbagliato a sottovalutare i movimenti di piazza Tahrir, affidandosi al classico copione dell'emergenza per legittimare una serie di forzature come l'ultimo decreto che gli attribuiva dei poteri assoluti.
Ma l'avvento di un nuovo dittatore per il momento è stato rimandato, grazie anche al lungo braccio di ferro tra Morsi e la magistratura che ha tenuto le forze laiche in allerta. Contando sul fatto che molti giudici erano stati nominati da Mubarak, il presidente ha probabilmente creduto di avere la giustificazione morale per opporsi a loro con ogni mezzo. La minaccia della Corte Costituzionale di sciogliere entrambe le Camere ad esempio poteva essere raccontata al pubblico come un rigurgito di chi venendo dal vecchio regime cercava di opporsi al cambiamento.
Peccato che col passare del tempo Morsi avesse iniziato a giocare sporco anche lui, come quando ha permesso ai suoi sostenitori di tenere sotto assedio la Corte costituzionale e ha stabilito con leggi straordinari che i due rami del Parlamento, entrambi guidati dal suo partito, divenissero immuni dal potere giudiziario. Finché la piazza stanca di questi evidenti abusi di potere non è ridiscesa in piazza per dargli un freno prima che potesse essere troppo tardi. Prossima tappa il referendum del 15 dicembre che dovrà approvare o respingere la Costituzione redatta da una Costituente quasi a senso unico. Questa è forse la battaglia decisiva di un presidente, rientrato nel frattempo a palazzo dopo la fine delle proteste, contro un popolo a cui vanno i miei complimenti per non aver mai abbassato la guardia.
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