
Proprio grazie a questo spettacolo, ho capito che non amo
particolarmente i monologhi, ma ciò non toglie che è uno spettacolo bellissimo.
No, non sono sotto i fumi di qualche manicaretto (light). Sono
assolutamente conscia e consapevole di ciò che scrivo. Affermare che una cosa
piace o meno afferisce ai giudizi di gusto (a me piace la pizza margherita, a
te la pizza quattro stagioni). Il concetto di bello, invece, esula dal gusto
personale, si basa su criteri ben definiti e delineati e condivisi e
condivisibili da tutti (pensiamo alle statue greche, emblema della Bellezza, perché costruite secondo
proporzioni matematiche e criteri artistici inderogabili).
Herlitzka, nella sua riscrittura, fonde il teatro più sperimentale, con
quello che per noi è il massimo della classicità, i testi di Shakespeare,
appunto. Il tutto su un palco minuscolo, senza quinta né tenda, arredato con
una tenda, una vecchia e gracile sedia bianca, un teschio (altrimenti che
Amleto sarebbe?), un fioretto e poco altro. E, magia del teatro,
indescrivibile, inafferrabile ed effimera, ecco che un uomo anziano (nasce a
Torino nel 1937), alto e dinoccolato, impersona in un ritmo incalzante il
giovane ed aitante Amleto, la madre, lo zio, le sentinelle, il becchino…
Eppure, non si sente la mancanza di altri attori, Herlitzka tiene banco, regge
la scena.

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