martedì 23 luglio 2013

Myanmar - Wirathu, il volto oscuro del buddhismo

A prima vista sembra un monaco buddhista come tanti altri: piccolo di statura, i lineamenti morbidi e la voce calma, imperturbabile. Un uomo plasmato da anni di letture e meditazione che dovrebbero averlo avvicinato all'illuminazione.
Invece il monaco birmano Ashin Wirathu utilizza questa sua apparente aura di santità per inculcare ai fedeli una crociata interna contro l'islam. E tra i molti suoi connazionali che considerano l'esigua minoranza musulmana (tra il 4 e il 10% del totale) una seria minaccia alle tradizioni locali qualcuno non ha perso tempo a versare del sangue. Molto sangue.

Si calcola che solo nell'ultimo anno e mezzo siano morti in Myanmar oltre duecento musulmani di etnia rohingya, una popolazione d'origine bengalese che si sarebbe stanziata nelle regioni nord-occidentali del paese dai tempi del dominio inglese in India. Siccome nessuno dei paesi limitrofi - tanto meno il Bangladesh - è disposto a riconoscerli, i rohingya devono arrangiarsi a sopravvivere in campi profughi improvvisati prima che la violenza della gente non li costringa a riparare altrove. 
I motivi per cui i buddhisti birmani prendono d'assalto i rohingya possono essere infatti dei più futili. Lo scorso aprile ad esempio è bastato che una donna musulmana in bicicletta avesse urtato un monaco facendogli cadere dalla mano la ciotola per l'elemosina per scatenare in men che non si dica una serie di roghi, saccheggi e omicidi contro i 'cani pazzi'. 
Questo è solo uno dei termini poco lusinghieri con cui Wirathu, uno dei principali ispiratori del movimento nazionalista 969 (numero legato alle virtù del Buddha), descrive i musulmani. Gli islamici che associa a "carpe che si moltiplicano e si mangiano tra loro" starebbero secondo lui cospirando in gran segreto per controllare/convertire l'intero paese. Un'immaginazione che non ha nulla da invidiare a quella antisemita a cavallo tra Ottocento e Novecento, neppure nelle sue forme più truci come la pulizia etnica.
La politica tanto per cambiare ostenta molta prudenza nell'affrontare il fenomeno, specialmente nel periodo di transizione attuale seguito all'apertura della giunta militare verso la democrazia. Fare il muso duro contro Wirathu significherebbe probabilmente alienarsi le simpatie dei milioni di buddhisti che simpatizzano per lui e dunque perdere quasi certamente le presidenziali del 2015. Per questo lo stesso premio Nobel Aung San Suu Kyi non ha praticamente aperto bocca sulla questione, ma nel frattempo qualcuno ha tentato di forzare le cose facendo esplodere una bomba durante un sermone di Wirathu di un paio di giorni fa nella città di Mandalay. L'attentato ha lasciato il monaco comunque illeso, ma l'entità dell'episodio potrebbe facilmente aprire la strada ad una nuova (e quasi sicuramente impunita) ondata di guerra interreligiosa.



  

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