La sfida di al-Qaeda rappresenta il primo, vero banco di prova per il premier sciita Nuri al-Maliki, che deve affrontare le tensioni sia interne che esterne senza poter più contare sull'appoggio diretto degli americani. Nel primo caso l'Iraq è diviso de facto in due parti con il Nord in mano al governo autonomo del Kurdistan e il sud che a sua volta deve affrontare la difficile convivenza tra la maggioranza sciita e quella sunnita un tempo fedele all'ex dittatore Saddam Hussein.
A complicare ulteriormente la situazione è il fatto che la regione conquistata recentemente dai jihadisti è quella direttamente confinante con la Siria. Qui la rivolta contro il presidente Assad si è ormai trasformata in una specie di guerra santa in cui i gruppi pseudo liberali hanno ceduto presto il posto ad una miriade di formazioni jihadiste che vogliono rovesciare il governo per instaurare una sorta di califfato.
La profonda instabilità di Damasco si è poi estesa nel vicino Libano, che ha visto una riproduzione su piccola scala delle rivalità siriane con attentati, uccisioni e sospetti che hanno avvelenato il clima politico del paese dei cedri. Ancora più sorprendente è stata però l'offensiva che le milizie di al-Qaeda hanno lanciato contro l'Iraq, riuscendo con la conquista di Falluja avvenuta lo scorso venerdì ad arrivare alle porte di Baghdad.
Ora il governo iracheno per bocca del generale Rashid Fleih promette di lanciare un contrattacco che dovrebbe ripristinare l'ordine "nell'arco di due o tre giorni". Come una prova generale della loro distensione sia gli Stati Uniti che l'Iran hanno offerto la loro assistenza all'esercito iracheno, escludendo però con ciò l'invio di truppe. L'Iraq si trova perciò da solo di fronte alla prima sfida che se dovesse essere persa non comprometterebbe soltanto la sua esistenza come Stato nuovamente indipendente, ma aprirebbe una voragine geopolitica capace di far impallidire quella che c'è attualmente in Siria.
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