Un giorno Bedrich tornò al suo campo, ma invece di calare la zappa vi si gettò rapido come una fiera. Pensava solo a strappar via le erbacce, a calpestar il terreno, zampillando d’odio per una terra capace solo d’ingratitudine. E dopo che la rabbia l’ebbe prosciugato del tutto, si lasciò cadere a terra esausto e a lungo rimase così immobile.
Il
suo campo abbondava di un’erbaccia lunga e sottile, a parte qualche piantina
gravida di frutti per la maggior parte deformi e scuri da far ribrezzo, ma pur
sempre dei frutti. Era cresciuto anche dell’altro, ma se ne accorse solo quando
provò a rialzarsi, quando la mano che poggiò a terra si punse con una foglia
spinosa che i fratelli più alti gli nascondevano alla vista.
Si
mise a cercare il cesto gettato via e si avviò nella penosa raccolta. Aveva da
ingoiarne vedendo quanti di questi frutti eran già rigonfi di marciume, e il
sangue tornò a bollire in fretta, facendogliene stritolar uno con la mano. Arrabbiarsi
così era inutile, concluse, perché doveva aspettarselo. Il lavoro in paese gli
aveva fatto trascurare il resto e comunque lo sapeva che lì vi stava crescendo
solo erbaccia, ci era passato ma non si era avvicinato per non trovare una conferma
che lo spaventava.
Povero
Bedrich, ci aveva davvero sperato. Pensava di vendere i frutti e di comprarsi
un pollo da far razzolare nel cortile che era rimasto vuoto, dopo che la moglie
era svenuta proprio mentre dava da mangiare alle galline e aveva lasciato la
porticina aperta. Sognava di avere di nuovo uova tutti i giorni, frittate e
magari pulcini da allevare una volta cresciuti. E quando mai avrebbe venduto i
mostri che aveva nel cestino, non sapeva neppure se si potessero mangiare!
Durante
il ritorno soffiò la solita aria fredda e per ripararsi si cinse le braccia al
petto fino a casa. Una volta dentro poggiò il cesto sul tavolo e andò a
sciacquarsi la faccia nella tinozza ch’era rimasta al solito posto. La moglie continuava
a dormire, tenendo la pancia sotto e il viso contro la parete. Neanche un
saluto questa volta.
Lui
la guardò comunque e tornò così a pensare alla storia del campo. Non aveva
avuto scelta, si disse, che se non avesse lavorato da Mastro Peter forse non ci
sarebbe stato altro modo di sfamarla in modo decente. Non poteva certo
aspettare che i semi maturassero, per come erano maturati poi, e nel frattempo sarebbero
morti tutti e due da un pezzo d’inedia. Finché aveva il lavoro da falegname in
paese, continuò tra sé, potevano tener duro fino alla prossima stagione,
provando a seminare in altra maniera e forse così avrebbe dato un buon raccolto.
Sei un illuso, gli avrebbe detto forse suo padre, ma senza questo suo animo
starebbe ancora a prender frustate dal padrone.
Il
suo padrone, che brutto pensiero, gli venne una smorfia solo a ricordarselo!
Per distrarsi si mise allora a pulire le sue verdure nella tinozza, prendendone
una per tagliarla col coltello e assaggiarne finalmente un pezzettino. Non si
aspettava certo che fosse buono, ma fu sorpreso che fosse anche tanto duro da
masticare e se la moglie doveva mangiare quella robaccia, conveniva per forza
bollirla a lungo nel paiolo.
Quando
infine Bedrich le si avvicinò con la cena in mano dovette sforzarsi parecchio
per svegliarla, chiamandola e scotendo più volte la spalla. Negli ultimi giorni
se ne stava a riposare molto più tempo, tanto che per ridere un giorno l’aveva canzonata
che stava diventando oziosa. Gliene avesse almeno sorriso, macché.
Per leggere la storia dall'inizio cliccare su C'era una volta Bedrich
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