domenica 22 aprile 2012

Bedrich - IX




Da poco era passato mezzogiorno, con il sole in cielo che calava, mentre la truppa affamata non ne poteva più di quel cammino senza fine. Gli abiti eran sporchi, le suole consumate, persino la gola troppo secca per maledire la propria disgrazia. Anche Bedrich tentennava, perché non c’era uno che ne scampasse e tantomeno i capitani, ma d’un tratto la colonna si risveglia, è successo qualcosa.
Hanno trovato un villaggio lungo la strada, poche case ma traboccanti di rumori e suoni, della vita che quasi avevan dimenticato a forza di patir rinunce. Pareva un sogno quella gente che si dava un bel da fare, beati loro, si dicevano i soldati, ancor così pieni d’energie. Chissà quanto mangiano per essere tanto allegri, aggiunsero i più invidiosi, i loro piedi non gonfi certo come i nostri e il loro stomaco che non gli morde per quant’è vuoto. Siamo chiari, non avevano di fronte mica dei gran signori, ma per chi non ha niente anche il poco è ricchezza e se n’è comunque. Odiavano quella gente che stava meglio di loro.
Doveva finir male, era scritto così. Gli abitanti infatti s’incuriosirono di quell’armata di cenciosi e quando si piazzarono ad osservarli fra loro apparvero anche delle giovinette nel fiore degli anni che tolse ogni freno alla compagnia. A decine quindi sguainarono subito spade, lanciando ululati e schiumando bava peggio dei veri lupi.
La folla si disperse nel terrore, ma come pecore venivano acchiappati per esser sgozzati e lasciati tosto nudi dei loro averi. Chi non moriva, almeno per il momento, erano giusto le povere giovinette che in due o tre provavano a montare senza aspettar il loro turno, finché le infelici non soffocavano di cotanta violenza. Bedrich era confuso, non sapeva che fare, quasi rabbrividiva dell’abominio che aveva davanti. 
Una di queste povere vergini riuscì a liberarsi del tremendo abbraccio e sì trascinò qualche palmo di terra non lontano da lui guardandolo supplichevole. Egli provò titubante a piegarsi per aiutarla ma ella si ritrasse, anche se non per paura, bensì per vomitare sangue e qualche altra schifezza mentre un bruto la prendeva per ricominciare il suo trastullo. Anche i suoi amici partecipavano al saccheggio, chi violentava e chi usciva dalle case mordendo una pagnotta o cipolle.
“Che fai, idiota?” lo chiamò uno di loro con rimprovero “Vuoi morir di fame, per caso?”
Bedrich allora si avvicinò piano, guardandosi intorno, cercando dove potesse entrare per fare la sua parte. Molte case erano fracassate, i mercenari non avevano perso tempo e se non si sbrigava rischiava davvero di stare digiuno. Provò allora per una porta da cui sentiva meno rumori, forse qui c’era ancora di che mangiare, e vi trovò tre uomini chini su dei gran cestini che sparpagliavano cocci e altre cianfrusaglie. In un’altra casa c’era un compagno che non solo mangiava di gusto, ma stava pure sopra una povera donna dalle gambe spalancate e poco più in là vide steso forse il marito, la testa rotta ma ancora cosciente. Nell’agonia teneva gli occhi socchiusi, fissando la sposa e il suo onore ridotto a brandelli, ma ben più interessante era il ripiano sopra di lui con del cibo che poteva provare a togliergli di nascosto.
Ma quando si avvicinò sentì la caviglia stretta da una mano e per la vergogna non osò girarsi. Temeva quell’uomo, temeva il risentimento di quell’occhio, ma per sua fortuna le forze abbandonarono subito moribondo e Bedrich di corsa afferrò il maltolto e in un lampo fu all’uscita. Non volle veder più nulla, non voleva ascoltare quelle grida, chiedendosi se quello che aveva fatto lo rendesse solo un ladro affamato oppure un mostro come gli altri. 


Per leggere la storia dall'inizio cliccare su C'era una volta Bedrich  

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