domenica 6 maggio 2012

Bedrich - XI




Il gruppo dei barbari si avvicinava sollevando dietro un polverone gonfio come un cielo in tempesta, gli zoccoli scrosciavano peggio di una scarica di tuoni, facendo tremare la terra sotto i piedi dei malcapitati che li aspettavano. Quale effetto doveva avere tutto ciò sui loro deboli cuori, poiché nessuno tra loro era soldato di lunga carriera, e fu incredibile che fino all’ultimo non si dispersero a gambe levate finendo trucidati come lepri in una battuta di caccia.
E fu terribile lo stesso quando i primi nemici si scaraventarono contro l’avanguardia, con le picche che rompendosi scagliavano schegge da tutte le parti e i cavalli imbizzarriti che si ribaltavano schiacciando più di una persona. Per un soffio anche il povero Bedrich rischiò di venir travolto, saltando indietro terrorizzato dalla zampata che gli mancò di poco la spalla e senza neppure l’attimo per riprender fiato che già incalzava un secondo cavaliere arrivato ancora in sella dalla sua destra.
Provò a rispondere allungando verso di lui la picca, ma purtroppo si ruppe e lo fece balzare per terra dove rimase stordito mentre la confusione intorno pareva soffocarlo. Non sapeva se lo aveva colpito, vide soltanto che un paio di moscoviti erano impegnati a far fettine dei compagni che gli stavano proprio davanti e conscio del pericolo che avanzava mosse la mano verso la spada, scoprendo con suo orrore che gli tremava più di una foglia sotto vento.
“Vergine santa! Non mi muovo” balbettò trascinandosi indietro ancora seduto.
Incurante del suo tentennare il cavaliere provò a lanciar un affondo schivato all’ultimo, quando finalmente l’istinto gli fece prender la spada per roteargliela davanti nella speranza di tenerlo lontano. Per un momento l’avversario s’irrigidì e lo fissava aspettando qualche altra sua mossa, quindi attaccò con maggior impeto finché Bedrich non cadde perdendo pure la spada.
Per sua fortuna venne qualcuno più leone di lui pronti che afferrò la gamba del cavaliere e gli ruppe il collo che neanche si era accorto di venir disarcionato. E il cavallo rimasto libero fu montato da uno che però non era avvezzo a cavalcature e venne subito gettato chissà dove, visto che Bedrich si preoccupò più a non finir schiacciato da quella bestia che sbuffava furibonda. L’agitazione era salita tale che non ci stava capendo più nulla, faticava a respirare e non aveva più idea di cosa fare.
I cavalieri in mezzo alle file intanto aumentavano di numero e facevano arretrare molti di chi non voleva rimaner circondato, preferendo  accalcarsi tutti stretti come a fuggire la marea che si alza. Davanti a loro erano rimasti appena una decina di coraggiosi che per il soverchiare del nemico caddero come erba tagliata da un falcetto.
“Che state facendo?! Attaccate!” si sgolavano i capitani vedendoli immobili sul campo ormai sgombero tra loro e il nemico.
Ma nessuno osò far nulla, anzi Bedrich che si stava poggiando sui compagni improvvisamente si sentì mancar il sostegno perché quelli avevano voltato le spalle al nemico per risolversi alla fuga. Egli quindi si girò un’altra volta dai cavalieri e cacciando un urlo prese a correre anche lui, sforzandosi di non cedere alla paura che lo poteva far inciampare e dar gioco facile agli inseguitori. Non osava voltarsi indietro, accertarsi che fossero a un passo su di lui, ma sentiva ancora le voci dei capitani che incitavano la truppa, o forse erano urla di terrore perché anche loro se la davano a gambe levate. Improvvisamente sentì il rumore degli zoccoli ricominciare, segno che i barbari avevano iniziato la loro caccia vittoriosa. Il cuore gli batteva forte, temeva davvero per la sua vita.


Per leggere la storia dall'inizio cliccare su C'era una volta Bedrich  

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