Il denaro finì assieme alla bella stagione e sapendo
del freddo crudele da quelle parti le truppe non ebbero premura di andarsene e
si arrangiarono a tirare avanti come potevano. Chi ci andò di mezzo furono
sempre gli abitanti, che tra il lungo assedio, il saccheggio e l’occupazione
pativano già non poca miseria e se al momento di pagare tributo non c’era proprio
niente da dare, sotto con calci e bastonate, fino a lasciarci la pelle.
E non era tutto perché man mano che s’inoltrava
l’autunno i mercenari divennero insofferenti alle tende, chiedendosi come mai dovessero
battere i denti all’addiaccio alle porte di una città tanto grande. Un bel
giorno allora si radunarono in gruppi di quattro o cinque a bussar alle porte e
appena la gente gli apriva buttavano fuori l’intera famiglia per viverci al
posto loro. Le strade si riempirono subito di decine di questi sfrattati e i
soldati non li lasciavano stare neppure nella disgrazia, perché si divertivano
a farli azzuffare per poche briciole e poi scommettere sul vincitore di questa
lotta tra pezzenti.
Ai capitani la scena non dispiaceva, ma era diverso
se fosse passato un ufficiale importante, di quelli che danno più importanza
all’ordine e non si preoccupano minimamente del tedio di un fante. Ma doveva
esserne capitato uno ad assistere per caso, tanto che durante l’ennesima zuffa
comparve uno squadrone di guardie armate che arrestarono i mendicanti e un
pugno di soldati di cui non si seppe più nulla. Si disse che vennero
giustiziati o abbandonati lontano dalle mura, qualunque fosse stata la loro
fine bastava il sospetto a spaventare gli altri.
La punizione finì per toccarli ugualmente e i più
malfidati, o i più scaltri chissà, videro nella rappresaglia un pretesto per
rispondere agli appelli dalle guarnigioni del Sigismondo nella Moscovia. Si
diceva che vi fosse disperato bisogno di rinforzi e i comandanti a Smolensk pensarono
bene di mandare i più indisciplinati a distrarre il nemico prima della
primavera e di giornate più clementi.
Tra i fortunati c’era anche la compagnia del buon
Bedrich, che fu quasi allietato di lasciare finalmente quel posto che l’annoiava.
I compagni al contrario s’infuriarono e confermarono la cattiva impressione che
si erano guadagnati venendo quasi alle mani con chi gli aveva recato i nuovi
ordini, che una volta tornato dal comandante si vendicò facendo giustiziare chi
l’aveva offeso in modo più pesante.
Partirono il giorno seguente e il tempo non era
nemmeno male. La neve al suolo e il cielo nuvoloso si fondevano in un candore
piacevole a vedersi e l’aria non soffiava così forte da infiammare il respiro. Il
viaggio tuttavia si prospettava molto lungo, una settimana e forse più, e i
capitani siccome era una bella giornata vollero guadagnare tempo facendo marciare
gli uomini tutto il giorno. Al tramonto si accamparono esausti in cima ad una
collina, dove cominciarono subito a tagliar legna da ardere perché le scorte
bastavano appena per tre giorni e con quello che era rimasto in città non si
poteva avere di più.
In molti purtroppo il peso di settimane a non far
nulla si fece presto sentire. Il corpo aveva perso la tempra per reggere lunghi
sforzi o delle notti che non perdonavano. Tantomeno la neve che non aspettò
molto prima di ricadere su quegli sventurati, fino a quando con i vestiti
troppo zuppi e le gambe a pezzi i soldati dovevano per forza interrompere la
marcia o per la stanchezza i fiocchi avrebbero finito per sommergerli.
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