martedì 12 giugno 2012

Quando il cinema Thriller incontrò quello Horror: quando Psyco incontrò Jason Voorhees

“Io devo stare qui. Chi la curerebbe, se me ne andassi? Rimarrebbe sola, lo so. Si spegnerebbe il fuoco, sarebbe freddo e umido come una tomba. Quando si ama qualcuno, non si può lasciare anche se si rende odioso. Capitemi, io non odio lei. Odio ciò che l’ha fatta diventare così. La sua malattia.”

Quando nel 1980 Sean S.Cunningham sviluppava il suo progetto sulla realizzazione di Venerdì 13, horror a basso costo ma di forte impatto estetico ed emotivo, uno dei modelli predefiniti che sicuramente prese in esame fu il film Psyco, grande capolavoro del 1960 diretto da Alfred Hitchcock.

Ciò non è solo una voluta provocazione, ma una comparazione volta a illustrare e a determinare una qualità indiscutibile dell’era hitchcockiana: essa ha infatti avuto il grande merito di guardare oltre quegl’anni, anticipando di fatto i cult movie degl’anni ‘80 i quali ne hanno seguito le leggi in modo dettagliato e preciso, trasformando film horror di serie B in vere e proprie leggende cinematografiche.
Tutto questo grazie alla visione oscura del “maestro del brivido” che inventò la tecnica del Macguffin (modalità narrativa secondaria introdotta nello svolgimento della trama del film, di importanza minore rispetto alla storia principale e fondamentale per lo sviluppo successivo che prendere una strada totalmente diversa da quella inizialmente fatta intuire allo spettatore) utilizzata in Psyco e vent’anni più avanti anche in Venerdì 13 (la vendetta della madre di Jason nel primo capitolo è un MacGuffin che serve ad introdurre la figura oscura del figlio, vero protagonista della storia e del resto della serie). Ciò che nel film di Hitchcock è un espediente all’ interno dell’unico film, nell’ opera di S. Cunningham finisce per diventare un elemento macroscopico che delinea la serie successiva di sequel.

Altro elemento interessante e comune alle due pellicole è senza dubbio il rapporto distorto e morboso tra madre e figlio: se per il personaggio di Norman Bates fu preso a modello Ed Gein che in 10 anni, dal 1947 al 1957, uccise due persone in La Crosse e Plainfield (Wisconsin); è certo che la sua figura oscura e maniaca sia stata a fondamento, a sua volta, della psicosi di Jason e Amanda Voorhees che, come Norman Bates e la sua “defunta e resuscitata” mamma, uccidono senza tregua innocenti malcapitati per vendicare la morte per annegamento di Jason al campo Crystal Lake nel 1957.

Il rapporto genitore-figlio è presentano nei due film in modo simile ma allo stesso tempo rovesciato: Norman Bates uccide sua madre per poi sviluppare, in seguito al senso di colpa, una doppia personalità che possa fargli credere che sia ancora viva e alla quale attribuisce i sanguinosi delitti commessi da lui stesso travestito da donna; Amanda Voorhees invece viene decapitata mentre uno dopo l’altro uccide degli animatori del campeggio con l’accusa di non esser stati in grado di sorvegliare suo figlio, morto annegato tredici anni prima. In qualche modo Jason sembra vivere nel corpo di sua madre la quale, come Norman, sviluppa una doppia personalità. La sua morte svelerà invece al pubblico un’ incredibile verità: Jason è ancora vivo ed è desideroso di vendetta per la morte della madre-killer che arrivava a parlare con la voce di Jason esattamente come Norman riusciva ad imitare quella della madre defunta.

Anche le ambientazioni sono in un certo senso comparabili: nel primo caso il motel e nel secondo il campeggio estivo rappresentano delle location perfette per descrivere il vuoto interiore e la schizofrenia dei killer e si identificano come vere e proprie trappole mortali.

A questo punto è naturale porsi la domanda riguardo, se ci sono, le possibili differenze tra le due storie: diverso è sicuramente il rapporto tra vittime e carnefice. Un esempio significativo del cambiamento dei tempi, dagli anni ‘60 a quelli ’80, è senz’altro l’età dei perseguitati. Jason uccide quasi esclusivamente teenager tipici di quel tempo. In Psyco invece la vittima è l’incarnazione del boom economico, è più adulta e realizzata professionalmente all’opposto del killer stesso che risulta uno scarto della società. In Venerdì 13 Jason punisce le sue vittime ma, in realtà, anch’egli è una forma distorta, un alter ego dei teenager che uccide, è la metafora perfetta della distruzione dei valori causata dal consumismo e dalla promiscuità moderna. Finisce quindi per fondersi con loro, mescolandosi coi ragazzi che, appaiono molto più “maniaci” di lui.

Un ultimo significativo spunto di riflessione è certamente dato dalla cosiddetta colonna musica (da non confondersi con la colonna sonora): essa è tutto ciò che riguarda il suono e il rumore all’interno della diegesi filmica. Questo elemento è in entrambi sotteso al silenzio che può essere definito come cornice visionaria e disturbata dei due assassini. Per creare un effetto ancora più agghiacciante l’assenza di rumori è interrotta da una colonna sonora che, in entrambi i casi, è costituita da delle “chiazze di colore sonoro” che vanno e vengono. Ciò da la sensazione della impersonalizzazione del male e dell’impossibilità di prevedere le mosse del killer.

Harry Manfredini, che scrisse le musiche per Venerdì 13, decise che gli intervalli tra suono e assenza di musica si sarebbero succeduti nei momenti in cui il killer attaccava. Nei secondi immediatamente precedenti, la musica, si sarebbe trasformata in un silenzio assordante per rilassare lo spettatore e accentuare lo spavento causato dall’uscita improvvisa del folle Jason. In Psyco invece i momenti più alti di musicalità sono invece proprio nel momento del delitto e questo è essenzialmente da ricondurre alla volontà dei primordi di spettacolarizzare la morte e l’uccisione.
“Che ne sapete voi di certe cose? Avete mai visto l’interno di un manicomio? Le risate, le lacrime… e gli sguardi allucinati che vi scrutano? Mia madre là dentro? Ma lei è innocua… è innocua come uno di quegli uccelli impagliati….”



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