martedì 2 ottobre 2012

Il bluff di Hormuz


Ad un mese dall'Election Day che annuncerà al mondo quale America verrà nei prossimi quattro anni, il Medio Oriente continua ad affilare le sue armi in vista dello scontro finale tra Israele e Iran. I tamburi da guerra questa volta li ha suonati per primo il premier israeliano Netanyahu, il quale all'Assemblea delle Nazioni Unite è tornato a paventare la minaccia nucleare degli ayatollah servendosi anche di una bomba disegnata su un foglio. L'avvertimento non poteva essere più esplicito: se l'Iran dovesse raggiungere (e non mancherebbe poco) uno stadio sufficientemente avanzato per realizzare un'arma atomica, la comunità internazionale avrebbe il dovere di rompere ogni indugio e lanciare una rappresaglia anche militare.
La controparte ovviamente non ha mancato di rispondere per le rime sia ad Israele che agli Stati Uniti, protagonisti nei giorni scorsi di un'esercitazione navale congiunta con i loro alleati nello stretto di Hormuz, corridoio su cui passa una buona fetta del traffico d'idrocarburi mondiale che Teheran ha minacciato più volte di bloccare. Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo, appunto, un mare.
In realtà la partita degli stretti è meno decisiva di quanto si possa pensare. Da una parte le petromonarchie stanno valutando percorsi alternativi come oleodotti e simili. Inoltre, lo stesso Iran non avrebbe nulla da guadagnarci perché la mossa non solo fornirebbe il casus belli perfetto per un attacco occidentale, ma irriterebbe alcuni dei suoi maggiori alleati tra cui la Cina, che non vedrebbe di buon occhio la destabilizzazione di una fonte di rifornimento così importante.
Una guerra tra Israele e Iran insomma difficilmente dovrebbe passare per questo tratto di Golfo persico, dove più che incrociare le armi si preferisce sondare lo sguardo dell'avversario per indovinare la sua determinazione. La strada per il conflitto ad ogni modo potrebbe aprirsi in maniera non meno ambigua di questo teatro...

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