mercoledì 3 ottobre 2012

L’Italianità Americana di NINE


Qualcuno ci dovrebbe spiegare come mai un film che parla del nostro paese, un musical di grande successo e un remake di un’intuizione geniale, del grande maestro Federico Fellini, presenta testi musicali in inglese con sottotitoli? 

Di vero Italiano c'è poco o nulla in realtà e anche i “nostri” attori rappresentanti (Valerio Mastandrea e Ricky Tognazzi) non è che siamo proprio inseriti in prima linea e ci offrano una grande prestazione. 

Insomma Nine di  Rob Marshall ha tutta l'aria di voler rappresentare una italianità troppo spettacolarizzata e radicata nella cultura e tradizione d’America dove attrici del calibro di Penèlope Cruz e Nicole Kidman sembrano troppo poco “Italiane” per trasmettere agli spettatori vizi e costumi del nostro paese. 

Paese che inoltre viene descritto negativamente: conforme alla perfezione a tutti gli stereotipi più classici e propri dell’ italianità media fatta di menzogne, sagacia e sesso spicciolo.                                                                                                                                                        Il fatto che il titolo, Nine, faccia riferimento a Guido Contini a 9 anni (Guido Anselmi in 8 e ½ di Fellini), interpretato dal freddo e distaccato Daniel Day-Lewisil, è di difficile comprensione per il pubblico: è appena accennato nella pellicola non rappresentando inoltre un realistico“Fellini”. Certo è che un italiano per il ruolo sarebbe stato molto più conforme al nostro criterio culturale.                                                                                                                                                   Dunque è lecito domandarsi cosa si sia voluto realizzare: verosimilmente si voleva trasformare un film cult e di nicchia in uno commerciale. Tutto questo è costato 80 milioni di dollari (per pagare gli stipendi a star internazionali fuori posto) ed è risultato un  flop sia in USA sia in Italia. La Critica l’ha accolto con uno scetticismo figlio del grande affetto provato per Fellini. Si temeva (come poi è avvenuta) un’eccessiva contaminazione filo americana diffusa, dove tutto è intrattenimento e consumo.                                                                                                                                                      

Inoltre è interessante notare come si sia perduta, in questo rifacimento, la  dimensione meta cinematografica e didattica dell’ idea originale che creava uno spessore attraverso il quale, per gli spettatori, era schiusa la consapevolezza della solitudine dell’artista nel momento dell’ intuizione pura, nel momento stesso cioè del concepimento dell’arte. Insomma 8 e ½ era tutta un'altra opera…

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