Il terrore si era impadronito di tutti i soldati, che
correvano a perdifiato e se cadevano si trascinavano come gli infanti,
piagnucolando e a gattoni, o in silenzio a guisa delle bestie. E intanto i
nemici, forse divertiti da quello spettacolo di codardia, spronavano i loro
destrieri e giunti al cospetto di uno dei fuggiaschi lo infilzavano prima con
la lancia e schiacciavan quel che restava con tutto il peso in uno schianto di
ossa rotte.
Bedrich, ch’era assai veloce nella corsa e aveva già
superato alcune file, vide giusto con la coda dell’occhio il destino dell’altrui
sfortuna. Quelle urla, il rumore così raccapricciante della carne che muore
quasi gli davan le ali ai piedi, ma il fiato non poteva durar per sempre,
soprattutto contro chi è a cavallo e in un salto si lascia dietro quel che lui
percorre solo in dieci.
Non ne sarebbe uscito vivo uno, questo era certo, e
l’avventura del buon Bedrich sarebbe già giunta a termine se il buon Dio non
avesse deciso diversamente. Non fu proprio il miracolo che lo salvò dal colpo di
grazia, ma sentiva di essere a buon punto di venir raggiunto quando vide che
alcuni compagni davanti a lui si erano fermati. Sono pazzi, si disse, ma se massacrano
loro posso avere più possibilità, poi l’istinto lo fece girare e vide i
cavalieri rimasti indietro a guardare altrove e tra loro, incerti su come
proseguire. Perché si son fermati, si domandò.
“I cosacchi! Sono i cosacchi!” parve rispondergli
qualcuno indicando a sinistra.
Si voltò che i rinforzi erano già intenti a infilare
le loro lance nei toraci dei barbari o sparando con gli archibugi che i più abili
sapevano usare ancora in sella. Coloro che poco prima li rincorrevano arroganti
stavano ora ripiegando in fretta e furia verso nord, trovando con orrore altri
nemici pronti ad accerchiarli e colti dal panico non poterono che subire il
proprio massacro. Solo una dozzina riuscì a scamparla, più con disonore ovvero dando
spallate ai compagni e spingendoli contro i nemici a fare da scudo per la loro rotta.
Presero la strada dei boschi, ma forse nessuno dei superstiti se ne curava presi com’erano dalla gratitudine
per l’insperato salvatore.
In realtà, dopo che gli ufficiali avevano chiarito
di essere servitori come loro del Sigismondo, i cosacchi spiegarono di non
essere venuti per soccorrere un’armata di straccioni, e ci mancherebbe, ma stavano
inseguendo quei moscoviti dopo una scaramuccia di due giorni innanzi col timore
potessero andar a caccia di rinforzi. Che inaspettata fortuna che sulla loro
strada avessero trovato dei soldati appiedati, che per poco non facevano tutti
secchi, o non li avrebbero mai raggiunti. A sentir questo nella compagnia non c’era
di che esser lusingati, anzi se non gli toccava di assolvere a un tale favore poteva
esser anche meglio, ma di casualità la guerra è fin troppo piena e per i vivi
in fondo ciò che conta era aver sempre la testa sul collo.
Contraccambiando il servizio che gli avevan reso i
cosacchi si offrirono di scortarli al campo più vicino e promisero anche di
mettere una buona parola per trovargli lavoro e se possibile anche un nuovo
equipaggiamento da soldato che si rispetti. Il cordone che ripartì si divise in
tre colonne: ai lati i cavalieri e in mezzo a malapena quaranta della compagnia
del Bedrich, il quale fissava ammirato quei gran soldati e la vista gli faceva
un gran male ricordando che vigliacco era stato.
Lui che s’era fatto soldato per onorare il Sigismondo,
ed era scappato mancando poco che gli rompessero il collo come la più volgare
delle galline. Da allora avrebbe mantenuto un maggior contegno, soprattutto nella
fuga. Una volta poteva andar bene, quasi sempre il contrario, e se lo sapeva
tanto valeva cambiar atteggiamento oppure gettarlo nel primo dirupo che
incontravano.
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