domenica 13 maggio 2012

Bedrich - XII



Il terrore si era impadronito di tutti i soldati, che correvano a perdifiato e se cadevano si trascinavano come gli infanti, piagnucolando e a gattoni, o in silenzio a guisa delle bestie. E intanto i nemici, forse divertiti da quello spettacolo di codardia, spronavano i loro destrieri e giunti al cospetto di uno dei fuggiaschi lo infilzavano prima con la lancia e schiacciavan quel che restava con tutto il peso in uno schianto di ossa rotte.
Bedrich, ch’era assai veloce nella corsa e aveva già superato alcune file, vide giusto con la coda dell’occhio il destino dell’altrui sfortuna. Quelle urla, il rumore così raccapricciante della carne che muore quasi gli davan le ali ai piedi, ma il fiato non poteva durar per sempre, soprattutto contro chi è a cavallo e in un salto si lascia dietro quel che lui percorre solo in dieci.
Non ne sarebbe uscito vivo uno, questo era certo, e l’avventura del buon Bedrich sarebbe già giunta a termine se il buon Dio non avesse deciso diversamente. Non fu proprio il miracolo che lo salvò dal colpo di grazia, ma sentiva di essere a buon punto di venir raggiunto quando vide che alcuni compagni davanti a lui si erano fermati. Sono pazzi, si disse, ma se massacrano loro posso avere più possibilità, poi l’istinto lo fece girare e vide i cavalieri rimasti indietro a guardare altrove e tra loro, incerti su come proseguire. Perché si son fermati, si domandò.
“I cosacchi! Sono i cosacchi!” parve rispondergli qualcuno indicando a sinistra.
Si voltò che i rinforzi erano già intenti a infilare le loro lance nei toraci dei barbari o sparando con gli archibugi che i più abili sapevano usare ancora in sella. Coloro che poco prima li rincorrevano arroganti stavano ora ripiegando in fretta e furia verso nord, trovando con orrore altri nemici pronti ad accerchiarli e colti dal panico non poterono che subire il proprio massacro. Solo una dozzina riuscì a scamparla, più con disonore ovvero dando spallate ai compagni e spingendoli contro i nemici a fare da scudo per la loro rotta. Presero la strada dei boschi, ma forse nessuno dei superstiti  se ne curava presi com’erano dalla gratitudine per l’insperato salvatore.
In realtà, dopo che gli ufficiali avevano chiarito di essere servitori come loro del Sigismondo, i cosacchi spiegarono di non essere venuti per soccorrere un’armata di straccioni, e ci mancherebbe, ma stavano inseguendo quei moscoviti dopo una scaramuccia di due giorni innanzi col timore potessero andar a caccia di rinforzi. Che inaspettata fortuna che sulla loro strada avessero trovato dei soldati appiedati, che per poco non facevano tutti secchi, o non li avrebbero mai raggiunti. A sentir questo nella compagnia non c’era di che esser lusingati, anzi se non gli toccava di assolvere a un tale favore poteva esser anche meglio, ma di casualità la guerra è fin troppo piena e per i vivi in fondo ciò che conta era aver sempre la testa sul collo.
Contraccambiando il servizio che gli avevan reso i cosacchi si offrirono di scortarli al campo più vicino e promisero anche di mettere una buona parola per trovargli lavoro e se possibile anche un nuovo equipaggiamento da soldato che si rispetti. Il cordone che ripartì si divise in tre colonne: ai lati i cavalieri e in mezzo a malapena quaranta della compagnia del Bedrich, il quale fissava ammirato quei gran soldati e la vista gli faceva un gran male ricordando che vigliacco era stato.

Lui che s’era fatto soldato per onorare il Sigismondo, ed era scappato mancando poco che gli rompessero il collo come la più volgare delle galline. Da allora avrebbe mantenuto un maggior contegno, soprattutto nella fuga. Una volta poteva andar bene, quasi sempre il contrario, e se lo sapeva tanto valeva cambiar atteggiamento oppure gettarlo nel primo dirupo che incontravano.


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