Adesso invece ci si spinge a paragonare l'incontro tra Kerry e Zarif addirittura ad un evento di portata storica, ossia la premessa per la riapertura dei canali diplomatici tra USA e Iran interrotti dalla lontana rivoluzione del 1979. Ma la prudenza in questi casi è sempre d'obbligo.
È da un trentennio che tra i due paesi non scorre buon sangue, soprattutto dopo il sequestro durato oltre un anno (1979-1981) di oltre cinquanta persone dell'ambasciata statunitense a Teheran che compromise gravemente non soltanto le relazioni reciproche ma la popolarità dell'allora presidente americano Jimmy Carter che uscì pesantemente sconfitto alle presidenziali del 1980.
I rapporti proseguirono, anche se sarebbe il caso di dire che ristagnarono, tra alti e bassi con una leggera ripresa a seguito degli attentati delle Torri Gemelle, quando durante la presidenza Khatami il paese offrì la sua disponibilità agli americani per combattere insieme la minaccia talebana in Afghanistan. Peccato per Teheran che fosse l'era dell'unilateralismo muscolare di George W. Bush e della retorica dell'asse del male in cui sarebbe stato inclusa suo malgrado anche la Repubblica Islamica.
Le relazioni segnarono un altro ribasso con l'avvento alla presidenza iraniana di Mahmud Ahmadinejad (2005-2013) che con la sua retorica populista e ferocemente antisemita accrebbe l'isolamento del proprio paese ad un livello tale da preoccupare la stessa guida suprema Ali Khamenei. Quest'ultimo temendo anche di essere messo all'angolo da Ahmadinejad, che effettivamente tentò di controbilanciare il potere degli ayatollah soprattutto dopo la repressione del movimento di protesta conosciuto come Onda Verde, promosse un nuovo corso molto più distensivo per scongiurare il rischio di un attacco preventivo promosso soprattutto da Israele.
Con l'elezione del moderato Hassan Rohani che ha sorpreso fin da subito con la sua telefonata ad Obama e gli auguri fatto su Twitter per il capodanno ebraico, l'Iran si trova in uno dei momenti forse più propizi per riaprire le porte alla comunità internazionale. Di fronte alle difficoltà che l'Occidente sta attraversando con il Medio Oriente sorto dalla primavera araba - specialmente nell'intricato dossier siriano - Teheran costituisce un attore fondamentale per garantire la stabilità nell'area. E questo lo sanno bene, e per questo molti dei loro politici lo temono, altri protagonisti regionali come Israele e Arabia Saudita che spesso hanno sfruttato il caos fuori dal proprio cortile per promuovere i loro interessi e distrarre l'opinione pubblica da questioni più spinose come la questione palestinese e l'aperture della monarchia saudita a riforme più liberali.
Al momento di scrivere non è stato ancora raggiunto un accordo definitivo, sebbene il presidente Obama si dica fiducioso e ha invitato lo scettico alleato israeliano a non liquidare a priori questo tentativo di dialogo. Non è invece della stessa opinione la guida suprema Khamenei che in occasione dell'anniversario della crisi degli ostaggi del 1979 caduto pochi giorni fa ha ribadito le sue accuse contro Stati Uniti ed Israele e ha invitato il paese ad andare avanti qualunque sia l'esito di Ginevra.
Di certo un eventuale riconciliazione tra USA e Iran avrebbe una portata simile a quella avuta negli anni Settanta con l'incontro tra l'America di Nixon e la Cina di Mao Zedong, quando una regione che aveva molti punti caldi che rischiavano di far esplodere un conflitto su larga scala venne stabilizzata proprio da questa sconvolgente (per entrambi i fronti della guerra fredda) quanto rivoluzionara concertazione.
Il tempo dirà se gli uomini di oggi saranno capaci della stessa lungimiranza.
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